Simone torna alla Scala
Milano: buone le prove di Viotti e Salsi
L'ultima volta del Simon Boccanegra alla Scala è stata nel 2018, sul podio Myung-Whun Chung, regia di Federico Tiezzi (coproduzione con la Staatsoper di Berlino), mentre la vox populi vuole che l'edizione "indimenticabile" sia quella di Abbado-Strehler del 1971. Comunque affrontare il capolavoro verdiano al Piermarini rimane ancora una sfida, che il direttore Lorenzo Viotti ha accettato, insieme con Daniele Abbado che firma la regia e condivide la scenografia con Angelo Linzalata, i costumi sono invece di Nanà Cecchi. Prima dell'aperura del sipario è comparso il sovrintendente Dominque Meyer, creando per un attimo il timore di qualche improvisa defaillance, ma che ha subito assicurato che tutti i cantanto godevano di ottima salute, soprattutto l'orchestra scaligera, da poco incoronata dagli International Opera Awards come migliore organico dell'anno.
A vincere a fine serata è stato comunque Lorenzo Viotti, molto atteso alla prova, che ha sfoggiato un piglio verdiano di classe, sottolineando senza enfatizzarli i passaggi impressionistici della partitura. Come pure ben calibrando le pause volute da Verdi nei lunghi recitativi. La tensione in orchestra è stata continua e le varie sezioni ben delineate. Insomma una prova direttoriale più che convincente.
Non altrettanto è risultata la messa in scena di Daniele Abbado che ha dato l'impressione di uno stanco déjà-vu, come per esempio le lanternine sparse nella penombra, con l'unica novità di un paio di spade laser alla Guerre stellari, o gli ingombranti pannelli mobili color cemento che talvolta si rassemblano in un muro, altre volte schiudono uno spiraglio in modo che un servo di scena offra all'infame Paolo un bicchiere per il veleno da versare oppure si aprono per lasciare spazio a una pedana inclinata che rappresenta lo studiolo del Doge con qualche mobiletto Ikea. Altre perplessità le ha poste una sorta di albero di Natale nella scena del giardino e un fondale con luci multicolori tonde sotto un cielo grigiastro che sembrava la distesa del mare vista da sott'acqua; di bell'effetto invece è risultata la breve apparizione del veliero attraccato in porto e il telo rosso del fondale che si raccoglie prima di salire al cielo lasciando libero spazio alla "marina tremolante". Non troppo riusciti i movimenti in scena, con risse poco credibili fra camalli e patrizi o con tableaux vivants di cantanti immobili a dare sfoggio di loro. Di certo appagati dai costumi accuratissimi firmati da Nanà Cecchi, che per questo Simon Boccanegra ne ha disegnato con cura certosina ben centonovanta, a conteggiare coristi e e comparse.
Nel cast ha primeggiato la voce calda e sicura di Luca Salsi (Boccanegra), un poco penalizzato dalla trita gestualità del cantante che si sbraccia e non sa come muoversi; Eleonora Buratto (Amelia) e Charles Castronovo (Gabriele Adorno) sono risultati entrambi di buon livello e disinvolti in scena; meno convincente Ain Anger (Fiesco). Al termine applausi per tutti, specie per Lorenzo Viotti (ahimè con fodera rossa al frack) e Luca Salsi, tranne qualche buu dal loggione per Ain Anger, a dire il vero non giustificato.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
Jonas di Carissimi e Vanitas di cinque compositori contemporanei hanno chiuso le celebrazioni per i trecentocinquanta anni dalla morte del grande maestro del Seicento
Il primo pianista francese a vincere il Čajkovskij di Mosca conquista il pubblico milanese con un interessante quanto insolito programma.