Roma per il Re Sole
Un tentativo di ricostruzione di due memorabile concerti romani della fine del Seicento, dedicati al Re Sole, con musiche di Corelli e Melani
Una festa musicale nel cortile rinascimentale di Palazzo Farnese, sede dell’ambasciata di Francia, ha rievocato la grande festa che nel 1686 l’ambasciatore francese organizzò a Roma in Piazza di Spagna in onore di Luigi XIV. Un’analoga festa si svolse l’anno seguente. Quelle feste sono narrate in una cronaca del tempo, intitolata “Roma festeggiante nel monte Pincio”, che, servendosi anche di illustrazioni, descrive i fastosi apparati e i fuochi d’artificio che allietarono quelle feste, ma è piuttosto generica sulla musica che venne eseguita. Ci informa però che l’aveva composta Arcangelo Corelli. E aggiunge un dettaglio molto interessante: l’orchestra era formata da cinquanta strumenti, smentendo l’attuale idea pseudofilologica dell’orchestra barocca striminzita, per altro smentita anche da altre fonti letteraria e pittoriche.
Ma esattamente quali composizioni furono eseguite in quelle due occasioni? A quanto si sa, a quell’epoca Corelli non aveva scritto nulla per orchestra, perché i suoi Concerti Grossi furono pubblicati soltanto nel 1714, postumi, ma non è affatto escluso che almeno alcuni di quei concerti fossero stati composti molti anni prima, perché il compositore francese Georg Muffat, che fu a Roma nel 1681-1682, descrive alcune le musiche di Corelli da lui ascoltate nella città dei papi: si trattava sicuramente di Concerti Grossi. E inoltre sappiamo anche che le Sonate a tre venivano talvolta eseguite con un organico allargato all’orchestra.
Partendo da queste poche e labili notizie, si è cercato di ricostruire quelle due feste musicali e ne è nato questo concerto, che non è stato né poteva essere identico all’originale ma comunque dava un’idea di quel che è stato suonato in quelle occasioni. Si è fatta una selezione dei Concerti Grossi op. 6 e delle Sonate a tre op. 1 e op. 2 di Corelli e li si è eseguiti con l’orchestra di circa cinquanta elementi descritta nella già ricordata cronaca. È stato proprio questo l’aspetto più interessante e più riuscito di questo concerto. Infatti queste musiche, che finora apparivano ammirevoli ma sempre un po’ compassate, austere e seriose, guadagnavano piacevolezza, vivacità e dinamismo in questa esecuzione con una grade orchestra. Sono state scelte quelle musiche che meglio corrispondevano alle definizioni che si possono leggere in altre fonti dell’epoca a proposito di alcune composizioni di Corelli: “sonata soavissima”, “sonata mesta”, “sinfonia con l’eco”, “sinfonia maestosa con ogni stromento”, “sinfonia grande con le trombe”. Le trombe? Sì le trombe, perché all’epoca le orchestre - quando c’erano le possibilità economiche - non soltanto erano molto più grandi di quel che comunemente si crede ma agli archi e agli strumenti del basso continuo indicati dal compositore nelle sue partiture aggiungevano anche altri strumenti, in particolare le festanti, sonore e barocche trombe.
La scoperta di questo Corelli un po’diverso da come lo conoscevamo, era in buona parte merito della felicissima esecuzione offertane dai quasi cinquanta strumentisti, di cui una trentina erano francesi degli ensemble Exit e Hemiolia, una decina italiani di vari ensemble nostrani e un’altra decina giovani dell’Orchestra Barocca Italiana dei Conservatori. Il primo violino e maestro di concerto era l’italo-francese Emmanuel Resche-Caserta: è il primo violino de Les Arts Florissants e questo era già una garanzia ma è andato anche oltre le aspettative, unendo alla pertinenza stilistica,alla precisione e alla pulizia dell’esecuzione anche un suono bello e pieno, un fraseggio molto variato e un ritmo vivo e incisivo. Ottima la sua intesa (d’altronde hanno studiato insieme nella classe di Enrico Onofri al Conservatorio di Palermo) con l’altro validissimo violino del concertino, Patrizio Germone. Buona la resa dell’orchestra, che – se si vuole essere proprio pignoli – poteva essere un po’ più coesa; ma bisogna considerare che questi cinquanta musicisti s’incontravano per la prima volta, non avevano avuto molto tempo per le prove e suonavano senza direttore: è improbabile che al tempo di Corelli si suonasse meglio. Qualche sbavatura delle trombe era fisiologica, perché la tromba barocca è insidiosa e (quasi) ingovernabile.
È stata eseguita anche una cantata di Alessandro Melani, altra figura di spicco nella musica romana dell’epoca, che per la festa del 1686 compose appunto una cantata, di cui però è rimasto il libretto ma non la musica. Se ne è tentata la ricostruzione, adattando alle parole del libretto alcune musiche scritte dallo stesso Melani per altre cantate. Un’operazione un po’ azzardata, che però ha avuto un risultato positivo, rivelando delle musiche di grande bellezza e facendo venire la voglia di sentire altre cantate di questo compositore: forse il tempo di Melani è finalmente giunto, come lasciano sperare le due esecuzioni ravvicinate a Roma e a Pisa della sua opera L’empio punito (ne è uscita in questi giorni l’edizione critica a cura di Luca Della Libera). Il soprano solista era Marie Perbost, voce limpida e gradevole, tecnica impeccabile, buona pronuncia italiana: in definitiva ottima.
In qualche modo si è cercato di ricreare anche la cornice di quelle feste del 1686 e 1687, ricreando con una buona dose di immaginazione alcuni degli addobbi che decoravano piazza di Spagna in quelle occasioni. Inoltre all’inizio e alla fine sono partite dei fuochi d’artificio – in questo caso si trattava in realtà di mortaretti – come avvenne all’epoca. Sorprendentemente - trattandosi di musiche certamente non popolari né facili – gli applausi sono stati calorosi e prolungati. E poi champagne per tutti, offerto dal padrone di casa, l’ambasciatore francese Christian Masset.
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