Rivoluzione Beethoven

Reportage dalla Beethovenfest 2016

Recensione
classica
Rinnovarsi ogni anno, trovare nuovi stimoli e chiavi di lettura, pare essere un obiettivo che il Beethovenfest riesce a raggiungere anno dopo anno, sicuramente grazie alla ricchezza del lascito artistico che l’illustre musicista concittadino continua generosamente a regalare ai posteri, ma anche grazie a un impegno che testimonia l’alta considerazione di cui in terra tedesca godono la cultura e l’arte.

Si aggiunga che il clima, non solo quello metereologico, della tranquilla Bonn – già capitale della Germania occidentale dalla fine del secondo conflitto mondiale fino alla riunificazione – pare essere quanto di meglio si possa desiderare per assaporare la portata di un evento che ogni anno tra settembre e ottobre arriva col suo ampio bagaglio di appuntamenti. Ci si possono concedere delle piacevoli passeggiate lungo il Reno, certo, ma a dare questa sensazione di rilassamento – che non è affatto "assopimento" – è soprattutto il buon funzionamento della vita cittadina. Dai mezzi di trasporto al modo in cui sono tenute le aree pubbliche, tutto sembra pensato per rendere l’esistenza più semplice e funzionale, evitando la confusione e il degrado.

Nike Wagner – che dal 2014 è direttrice artistica del Beethovenfest – mi confessa che la tranquillità di Bonn la rende un po’ conservatrice, trovando per esempio la vicina Köln più ricca di fermento. Ma questa elegante signora non rinuncia a portare il suo vento di novità, a dar spazio a proposte cross-over, a offrire un panorama che include anche altre arti, non solo la musica. Ecco che per l’edizione di quest’anno, appena conclusa, ha scelto un "motto" che è tutto un programma: Revolutionen. Un tema che naturalmente parte dalla spinta in avanti data alla musica dal grande Ludwig, ma indaga innanzitutto gli influssi che nella sua produzione ha avuto quella che per definizione è "la rivoluzione", sottolineando le grandissime aspettative – nell’artista e nei settori più liberali della cultura europea – che inizialmente aveva generato la figura di Napoleone Bonaparte.

Ecco dunque che scorrendo il programma generale del Festival 2016, apertosi il 9 settembre e conclusosi il 9 ottobre, si incontra un titolo di Luigi Cherubini proposto in collaborazione col Theater Bonn (l’8 ottobre), Le deus journées ou Le porteur d’eau, che non solo testimonia il fermento generato dagli ideali della Rivoluzione Francese, ma è anche stato di riferimento per Beethoven nella genesi del Fidelio. Poteva poi mancare l’Eroica? No di certo, ma accanto alla pregevole esecuzione offerta nel concerto che ha visto Marek Janowski alla guida della WDR Sinfonieorchester (il 23 settembre), gli appassionati hanno potuto seguire una specialissima matinée (il 10 settembre, dunque al secondo giorno del Festival) in cui Konstantin Scherbakov, insieme alle non meno accattivanti Eroica-Variationen op. 35, ha proposto la trascrizione pianistica della Terza sinfonia realizzata da Franz Liszt, dando modo alla stessa Nike Wagner di illustrare le implicazioni del motto scelto per il 2016: Revolutionen è al plurale, perché si è voluto dar conto di molteplici "rivoluzioni", non solo nella musica ma anche nella società.



Questo taglio spiega la presenza di formazioni appartenenti alle aree delle due principali rivoluzioni europee, l’Orchestra National du Capitole de Toulouse e l’Ensemble Les Siécles per la Francia, la Ural Philharmonie Orchestra per la Russia, quest’ultima sia da sola, sia insieme al Coro Sinfonico della Filarmonica di Yekaterinburg per eseguire, tra l’altro, la Cantata scritta da Prokof’ev per il ventesimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre. Ma, insieme a non pochi altri eventi di taglio innovativo, ecco anche l’attenzione alle istanze dei movimenti di liberazione legati alla “Primavera Araba”, rappresentati in uno spettacolo intitolato Song of Springs (il 18 settembre) nel quale la pianista turca Seda Röder ha presentato una interpretazione multimediale di quella rivoluzione "fallita".

I concerti che ho potuto seguire in questa edizione mi hanno portato a diretto contatto con la citata duplice componente franco-russa, ma mi preme iniziare con una presenza, quella dell’Ensemble Zefiro, che quest’anno è stata una delle non poche legate al nostro paese, generalmente molto più rappresentato a livello di compositori – segnalo l’attenzione per Luigi Nono, del quale è stata presentata La fabbrica illuminata del 1964 (il 5 ottobre) – che di esecutori. Già perché oltre a Zefiro, protagonisti di altri concerti sono stati il Quartetto di Venezia e il pianista Filippo Gorini, che a Bonn si era imposto alla Telekom Beethoven Competition dello scorso anno. Questo importante risultato non solo ha portato Gorini – bresciano, appena vent'anni – al debutto nel cartellone 2016 del Festival di Bonn ma di fatto lo ha lanciato verso una promettente carriera internazionale.

Torniamo però al gruppo diretto da Alfredo Bernardini, che lo scorso 14 settembre è stato protagonista di una serata, nella splendida sala de La Redoute, di assoluta eccellenza non solo dal punto di vista interpretativo ma anche nello spirito "teatrale" che ha animato parte del concerto. Dedicato alla cosiddetta Harmoniemusik, il programma è stato equamente diviso tra il "padrone di casa" – in primis l’Ottetto op. 109 – e Mozart, di cui è stato eseguita la Serenata K 388. Bernardini ha poi ben spiegato al pubblico che affollava la sala che la Harmoniemusik nasceva soprattutto col compito di riportare all’interno delle dimore aristocratiche i brani di maggior successo ascoltati nei teatri. Ecco dunque, dulcis in fundo, uno dei tanti adattamenti per strumenti a fiato del Don Giovanni, quello realizzato da Johann Wert, proposto non senza tutta una serie di divertenti "gags" tra musicisti, che ovviamente ammiccavano alle situazioni teatrali del capolavoro mozartiano. Il tutto condito con una piena padronanza degli strumenti a fiato storici, grazie ai quali gli otto esecutori hanno dato al pubblico tedesco un’idea della sonorità che si poteva ascoltare al tempo dei due grandi compositori. Non solo, hanno anche reso testimonianza al senso che questa scelta esecutiva filologica oggi possiede, dal momento che le caratteristiche degli strumenti storici si sposano perfettamente alle caratteristiche del linguaggio musicale della propria epoca.

Da Mosca proveniva l’Ensemble for Neue Musik che il 15 settembre ha presentato un programma che voleva anche testimoniare gli echi della Rivoluzione Russa nella musica, oltre a presentare brani scritti nell’ultimo decennio del ventesimo secolo. Il gruppo ha subito manifestato la notevole bravura dei musicisti che lo compongono sia nella Kammersmphonie n. 1 di Roslavetz, sia nel Quintetto op. 39 di Prokof’ev, vera e propria prova di equilibrio che non a caso è legata al balletto di Djagilev Trapèze. Quello tuttavia che mi preme segnalare della serata – considerati i due complessi brani di Alexander Wustin e Vladimir Tarnopolski eseguiti nella seconda parte – è la presenza di un pubblico piuttosto consistente all’interno della moderna sala della Bundeskunsthalle: la possiamo considerare solo un segno di curiosità, peraltro da parte di spettatori non certo giovanissimi, oppure una sana apertura culturale nei confronti del linguaggio musicale più vicino ai nostri giorni?

Decisamente più fruibile il programma, la sera del 16 ottobre, presentato nella più importante sede concertistica presente a Bonn, quella Beethovenhalle che di fatto si è presentata al completo nei suoi circa 1300 posti. L’Orchestre National du Capitole de Toulouse, diretta da Tugan Sokhiev ha eseguito, oltre all’ouverture Le Carnival Romain, quella Symphonie fantastique con cui Berlioz ha non solo ha reso omaggio al Beethoven sinfonico, ma ha anche posto una delle pietre miliari per lo sviluppo della musica romantica. Di tutto rispetto l’interpretazione della compagine francese, notevole soprattutto per la compattezza degli archi, pienamente padroni nel proporre quella che possiamo considerare la risposta francese al sinfonismo tedesco.

Quasi immancabile con cotanto pubblico, la presenza del musicista di Bonn con una bella esecuzione del Quinto Concerto per pianoforte. Solista di prim’ordine un Christian Zacharias elegantissimo nel tocco e nel fraseggio, il quale ha puntato con decisione sul carattere solare con cui si apre il brano di Beethoven e che si espande poi nel movimento finale. Nel proporre a grande richiesta un bis, Zacharias ha reso omaggio a Robert Schumann, che terminò la propria esistenza nella stessa città che aveva dato i natali al grande Ludwig. Bonn non è solo Beethoven, e oltre a quella di Schumann può trovare spazio tutta quella musica inclusa nell’ampio ventaglio di proposte che questo Festival propone ai visitatori tedeschi e stranieri. Ma tutto questo si chiama inconfondibilmente Beethovenfest.

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