Riabilitare La Battaglia
Al Maggio Musicale Fiorentino il Verdi della Battaglia di Legnano
Riscoprire La battaglia di Legnano e accorgersi che c’è ben altro rispetto ad un Verdi “patriottico” e all’occasione in cui l’opera apparve, a Roma, tra i brevi fasti e le speranze presto tramontate della Repubblica Romana del 1849. È quanto è successo al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino con il nuovo allestimento per l’ottantunesima edizione del festival. A quest’opera verdiana di assai rara esecuzione è toccato un successo finale travolgente e sostanzialmente meritato. L’epoca eroica dei liberi comuni con la sua gloria severa, o piuttosto la pittura storica all’Hayez che la rievocò, ispira la rigorosa scena modulare di Gianni Carluccio che firma anche le luci, e i costumi di Francesca Livia Sartori e Elisabetta Antico. Marco Tullio Giordana al suo esordio nella regìa lirica firma uno spettacolo che, a seconda dei gusti, potremmo definire vecchio stile, nella sua spettacolarità a cori e figuranti schierati frontalmente e nel codice gestuale, oppure, diciamo noi, assai piacevolmente rétro. Liberati dall’incubo di ipotetici Barbarossa funzionari del Fondo Monetario o lobbisti dell’asse Merkel/Macron (anzi qui è talmente Barbarossa da avere una barba rossa vistosissima), o comaschi adepti della Repubblica Sociale, o armigeri in giubboone verde-lega, e tutto ciò che poteva scovare una regìa in vena di attualizzazioni, possiamo goderci una partitura che davvero fa storia a sé nel percorso dell’uscita di Verdi dagli “anni di galera”. Non vi troviamo forse nessuna pagina veramente memorabile, ma neanche le tipiche quadrature, le rettilinee architetture armoniche, l’economia compositiva del Verdi precedente. Vi troviamo una duttilità d’invenzione, di sintassi, di incastri, di disposizione dei piani sonori solisti - coro, di strumentazione accurata fin dalla bella ouverture, di originali macchie armoniche, che ci parlano di un Verdi europeo, che trae lezioni utili dal coevo teatro musicale francese e forse non solo da quello (qualche spunto berlioziano, ad esempio, ci è parso riconoscibile; senza tacere i meriti di Salvadore Cammarano, giacché versi assai suggestivi gli sono ispirati dalla vicenda, con le sue tinte fosche, pensiamo alla “Compagnia della Morte”, e dalle fatali catastrofi così care al librettista di Lucia, Luisa Miller e Trovatore). E proprio questi aspetti nuovi ci sono sembrati al centro della molto ben calibrata e accurata concertazione di Renato Palumbo. Quanto al lato patriottico della faccenda, con quel ribollire di versi appassionati all’Italia, il fatto è che Verdi ci credeva e la sua musica ci crede. Martedì ci credeva anche l’ottimo coro istruito da Lorenzo Fratini, che era proprio “in parte”, come si suol dire. Quanto ai protagonisti, il triangolo tenore-soprano-baritono è qui particolarmente interessante perché come nel venturo Ballo in maschera il baritono è il marito, dunque l’amore è colpevole, e ciò dà vibrazioni particolari in primo luogo al personaggio di Lida, assai intensamente realizzato da Vittoria Yeo. Ma molto bene anche l’Arrigo di Giuseppe Gipali, ci ha convinto anche il Rolando vocalmente un po’ ruvido ma assai efficace di Giuseppe Altomare, e segnaliamo anche Marco Spotti, Barbarossa, Min Kim, Marcovaldo, Giada Frasconi, Imelda. Teatro pieno e come si è detto successo vivissimo. Da non perdere, repliche il 25, 27, 31 maggio.
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