Polifonie nelle lingue quecha e nahuatl
Dal vecchio al nuovo mondo alla sessantaseiesima Sagra Musicale Umbra
Recensione
classica
Indubbiamente saranno da ricordare tra i momenti più emozionanti del ricco e bel cartellone della Sagra di quest'anno i due concerti finali, dedicati alla musica sacra nelle colonie spagnole, di cui si sa ben poco, nonostante le suggestioni lanciate da Mission, il pluripremiato film di Joffé. Ma lì le musiche erano di Morricone, mentre qui si sono scoperte quelle che erano veramente eseguite nelle missioni tra le foreste del Paraguay e della Bolivia e nelle cattedrali di Città del Messico, Lima, Puebla e La Plata, fiorenti città da cui partivano fiumi d'argento per la madrepatria. Vari compositori spagnoli di alto livello come Juan Gutiérrez de Padilla e Juan de Araujo si trasferirono nel nuovo mondo, dove trovarono mezzi (fino a quarantadue cantori, trentacinque strumentisti e tre organi) perfino superiori a quelli che inorgoglivano la basilica di San Marco a Venezia. Tra loro anche un italiano, Domenico Zipoli, cui la Sagra ha giustamente dedicato particolare attenzione. In più compositori locali come il creolo Francisco López Capillas e l'indio Francisco Hernández. E giungeva anche la musica europea. Alla Sagra si sono ascoltati magnifici pezzi polifonici in latino, come le Lamentazioni per il Giovedì Santo di Padilla, all'altezza della migliore produzione sacra europea contemporanea, e pezzi in lingua spagnola, nello stile semplice e popolare del villancico, vivacizzato da ritmi e colori esotici. Particolarmente interessanti due pezzi in lingua quecha e nahuatl, intrisi di immagini e concetti cristiani e di colore musicale indio. Erano accostati a Victoria, Monteverdi, Domenico Scarlatti e altri grandi compositori europei, nelle esecuzioni impeccabili dell'Ensemble Vocale e Strumentale Ex Cathedra di Jeffery Skidmore e dei Tallis Scholars di Peter Phillips.
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