Poetico, grottesco, attuale “Peer Gynt”
Il testo di Ibsen con le musiche originali di Grieg è andato in scena con successo all’Arena Shakespeare del Teatro Due di Parma
Un nuovo allestimento di Peer Gynt, uno dei testi più significativi di Henrik Ibsen completato dalle musiche di scena originali composte da Edvard Grieg, è stato proposto all’Arena Shakespeare di Fondazione Teatro Due di Parma, una prima nazionale che ha rappresentato uno dei principali appuntamenti di teatro musicale del Reggio Parma Festival 2023.
Se è raro imbattersi in una produzione che riunisce il testo di Ibsen e la musica di Grieg, ricostruendo una dimensione rappresentativa idealmente affine a come i due autori l’avevano immaginata in vista del debutto al Kristiania Norske Teater il 24 febbraio del 1876, è altrettanto raro che l’operazione possa funzionare così bene come è accaduto in questa occasione.
Il Teatro Due non è nuovo a operazioni di questo genere – ricordiamo gli shakespeariani Sogno di una notte di mezza estate con le musiche di scena di Mendelssohn e Molto rumore per nulla con le musiche di scena di Korngold – e in questa occasione è riuscito a proporre una produzione dal segno se vogliamo ancora più efficace, grazie all’affinità espressa dal connubio tra la visione registica di Daniele Abbado – coadiuvata in maniera coerente dalle scene e dalle luci curate da Angelo Linzalata, dai costumi ideati da Giada Masi e dai movimenti scenici gestiti da Riccardo Micheletti – e la lettura musicale di Marco Seco, direttore attento ai tempi scenici così come a quelli musicali, alla guida della reattiva compagine orchestrale La Fil – Filarmonica di Milano.
Il fascino del personaggio di Peer Gynt può riassumersi nei tratti di un eroe ambiguo – una specie di improbabile miscela tra il carattere “puro” e “folle” rappresentato da Parsifal e l’indomita e scaltra curiosità per la scoperta incarnata da Ulisse – che immola l’intera sua esistenza sull’altare delle proprie pulsioni e della propria indole, per poi terminare il suo viaggio erratico ricercando una sorta di salvifica redenzione.
Una parabola che Ibsen riconduce alle atmosfere delle tradizioni popolari della sua terra, miscelando storie picaresche con il folklore nordico, fiabesco e mitologico. In questo quadro Grieg, chiamato dallo stesso autore a realizzare le musiche di scena per la trasposizione teatrale del testo nato in origine come poema in versi nell'estate del 1867, dovette superare alcune titubanze, generate probabilmente dalla percezione di quella che Sergio Sablich ha descritto come «la nuda e cruda visionarietà di tante situazioni al limite dell'assurdo, che potevano anche essere fraintese; o […] la caricatura del nazionalismo norvegese presente nel testo, tanto evidente alla superficie quanto secondaria rispetto ai contenuti sia poetici che drammatici più profondi, quelli umani, soprannaturali e metafisici, che ne costituiscono l'essenza».
E proprio questa commistione tra grottesca caricatura di un mondo concreto e meschino – quello degli umani così come quello dei troll, beninteso – e, se vogliamo, molto attuale – concentrato com’è sui suoi bassi, ottusi e mediocri interessi – e l’indagine interiore e profonda di un individuo alla ricerca di se stesso, ha preso forma compiuta in questa rappresentazione. Un messa in scena che Daniele Abbado ha voluto tratteggiare attraverso il bell’equilibrio di un perimetro rappresentativo concretizzato da una pedana che incorniciava l’orchestra al centro di una scena che confluiva nel più ampio spazio antistante, proprio in fondo alla cavea del teatro all’aperto. Un universo circoscritto ma fluido, attraversato in lungo e in largo dai personaggi che hanno dato forma ai diversi e variegati caratteri che nutrono questa pièce, incarnati dai bravi attori Roberto Abbati, Valentina Banci, Cristina Cattellani, Laura Cleri, Davide Gagliardini, Michele Lisi, Carlotta Mangione, Andrea Mattei, Elisabetta Mazzullo, Ilaria Mustardino, Luca Nucera, Chiara Sarcona, Massimiliano Sbarsi, Francesca Tripaldi, Pavel Zelinskiy.
Sul piano musicale, Marco Seco è riuscito a dispiegare l’essenza espressiva dei ventisei numeri musicali del poema drammatico op. 23 – che siamo perlopiù abituati a fruire nella forma più compressa delle due suite orchestrali op. 46 e 55 – con un senso narrativo compiuto, efficiente nel respirare con – e lasciare spazio ai – momenti occupati dalla parola recitata, efficace nell’emergere in primo piano quando il dato musicale diveniva materia narrativa ed espressiva principale. In questo senso alcuni dei momenti più significativi sono stati rappresentati proprio dai brani più celebri quali “Il mattino”, con il suo clima pastorale, la celeberrima cavalcata in crescendo de “Nell’antro del re della montagna”, fino al delicato tratteggio melodico de “La canzone di Solvejg”, dove il canto dell’indefessa amante del protagonista è stato restituito attraverso una generica spontaneità che ha regalato un tratto se vogliamo più realistico a un ideale mondo rappresentativo nel complesso giocato sul registro astratto, surreale e fiabesco.
La sera del debutto il folto pubblico presente ha riconosciuto un caloroso e meritato successo a tutti gli artisti impegnati.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
Al Teatro Filarmonico debutta l’opera verdiana in un allestimento del Teatro Regio di Parma