Pergolesi nel nome dello sport
A Jesi città europea dello sport
Recensione
classica
Le affinità tra musica e sport sono state il tema della quattordicesima edizione dell’appena concluso Pergolesi Spontini Festival, per celebrare Jesi città europea dello sport 2014.
Sport come atletismo e prestazione fisica tesi a raggiungere e superare i limiti delle possibilità corporee, non molto diverso perciò dal virtuosismo esecutivo, estremo dominio sullo strumento musicale o sulla voce. Ma sport anche come competizione e confronto tra atleti-virtuosi, che si cimentano in ardue prove di agilità e potenza.
Come è stato per i due falsettisti protagonisti del concerto “Gara vocale. Da Farinelli a Velluti: l’arte vocale dei castrati”: il sopranista Paolo Lopez e il contraltista Antonello Dorigo, portentose voci che hanno interpretato i molteplici e contrastanti affetti di splendide arie di Händel, Porpora, Giacomelli e Vivaldi. Nell’atmosfera intima e in penombra del piccolo Teatro Moriconi, a luce di candela, hanno lasciato immaginare quale fascino ambiguo potesse scaturire dai cantori più ricercati del Settecento e quale attrazione potesse suscitare la sfasatura androgina tra voce femminile e corporatura maschile.
Ricercatissimi nel teatro fino all’epoca napoleonica, quando venne proibita la mutilazione infantile, i cantori evirati (i cosiddetti “musici”) sembra che fossero addirittura artisticamente superiori alle colleghe donne, per la formazione didattica più solida. Molti di essi provenivano proprio dalle Marche, regione in cui si concentrava la maggior parte dei teatri dello Stato Pontificio, che proibiva alle donne di calcare le scene. Non sembrerebbe quindi un caso che questa regione abbia dato i natali a tanti famosi cantori evirati: Giovanni Carestini, attivo a Londra insieme a Händel; Giambattista Mancini, cantante e autore di una trattato di canto; Venanzio Rauzzini, apprezzato da Mozart; Gaspare Pacchiarotti e Girolamo Crescentini, vere star del mondo teatrale settecentesco; e Giambattista Velluti, l’ultimo grande castrato attivo nelle stagioni teatrali dell’Ottocento.
Lopez e Dorigo hanno lasciato il pubblico senza fiato, non solo per la tecnica strabiliante unita alla consapevolezza interpretativa che hanno esibito, ma anche per un non so che di straniante legato al loro ruolo di “personaggi” pur in assenza di una vera e propria scena. Ruolo che hanno mantenuto fino agli applausi conclusivi, ai quali hanno risposto con il sorriso degli occhi e l’impassibilità del resto del volto. Protagonista del concerto è stata anche l’Accademia Barocca de I Virtuosi Italiani, guidati dal primo violino di Alberto Martini, che hanno accompagnato i due cantanti con grande nitidezza esecutiva e plasticità del fraseggio.
Sempre i Virtuosi Italiani, stavolta diretti da Corrado Rovaris, hanno eseguito sinfonie ed arie dall’Olimpiade di Vivaldi, Pergolesi, Cimarosa nell’altro concerto dedicato al virtuosismo vocale, intitolato “Olimpiade-Olimpie”: nella seconda parte infatti sono stati proposti l’ouverture e alcuni ballabili (questi ultimi in prima esecuzione in epoca moderna) dall’Olimpie di Spontini. Co-protagonista del concerto è stata il soprano Gemma Bertagnolli, che ha saputo dare alle impervie linee vocali sapori espressivi sempre diversi, attenta agli affetti del testo metastasiano. L’esecuzione dell’Olimpie è stata condotta sull’edizione critica di Federico Agostinelli, consueto collaboratore della Fondazione Pergolesi Spontini , che ha preso a riferimento la partitura a stampa edita da Erard nella stesura definitiva in francese pubblicata a Parigi dopo il 1826. La tragédie lyrique infatti fu rappresentata nel dicembre 1819 all’Opéra di Parigi e fu poi tradotta da E.T.A. Hoffmann per la Opernhaus di Berlino, dove riscosse grande successo anche grazie all’introduzione del lieto fine. Nel 1826 Spontini ne realizzò la stesura definitiva nella lingua originale, arricchendola di balli e marcia trionfale, anticipando lo stile tipico del grand-opéra. A Jesi sono stati eseguiti in prima moderna un ballo dal primo atto, un Pas de trois e un Pas de cinq dal terzo. In queste musiche Spontini ha ricordato un po’ Beethoven, soprattutto nell’Ouverture, per lo stile incisivo e marcato e la densità timbrica, a volte Rossini, per l’iterazione di brevi incisi. Nei ballabili i ritmi di danza hanno invece riportato per brevi momenti al Settecento, nei passaggi graziosi ed eleganti; ma poi il clima marziale di altri e i ritmi vorticosi, energici e la grande massa orchestrale hanno creato momenti di netto contrasto. Rovaris è stato naturalissimo e vicinissimo agli orchestrali in Vivaldi e Pergolesi, sembrava dialogasse con loro e che la musica sgorgasse dalle sue mani anziché dagli strumenti; poi con l’aumentare dell’organico in Cimarosa e ancora di più in Spontini sempre più “direttore”, sempre meno dentro l’orchestra e più sul podio. Ma ha sempre, in ogni caso, comunicato l’intelligenza del fare musica, sottolineando contrasti dinamici ed emersioni timbriche in maniera attenta e raffinata.
Ricercatissimi nel teatro fino all’epoca napoleonica, quando venne proibita la mutilazione infantile, i cantori evirati (i cosiddetti “musici”) sembra che fossero addirittura artisticamente superiori alle colleghe donne, per la formazione didattica più solida. Molti di essi provenivano proprio dalle Marche, regione in cui si concentrava la maggior parte dei teatri dello Stato Pontificio, che proibiva alle donne di calcare le scene. Non sembrerebbe quindi un caso che questa regione abbia dato i natali a tanti famosi cantori evirati: Giovanni Carestini, attivo a Londra insieme a Händel; Giambattista Mancini, cantante e autore di una trattato di canto; Venanzio Rauzzini, apprezzato da Mozart; Gaspare Pacchiarotti e Girolamo Crescentini, vere star del mondo teatrale settecentesco; e Giambattista Velluti, l’ultimo grande castrato attivo nelle stagioni teatrali dell’Ottocento.
Lopez e Dorigo hanno lasciato il pubblico senza fiato, non solo per la tecnica strabiliante unita alla consapevolezza interpretativa che hanno esibito, ma anche per un non so che di straniante legato al loro ruolo di “personaggi” pur in assenza di una vera e propria scena. Ruolo che hanno mantenuto fino agli applausi conclusivi, ai quali hanno risposto con il sorriso degli occhi e l’impassibilità del resto del volto. Protagonista del concerto è stata anche l’Accademia Barocca de I Virtuosi Italiani, guidati dal primo violino di Alberto Martini, che hanno accompagnato i due cantanti con grande nitidezza esecutiva e plasticità del fraseggio.
Sempre i Virtuosi Italiani, stavolta diretti da Corrado Rovaris, hanno eseguito sinfonie ed arie dall’Olimpiade di Vivaldi, Pergolesi, Cimarosa nell’altro concerto dedicato al virtuosismo vocale, intitolato “Olimpiade-Olimpie”: nella seconda parte infatti sono stati proposti l’ouverture e alcuni ballabili (questi ultimi in prima esecuzione in epoca moderna) dall’Olimpie di Spontini. Co-protagonista del concerto è stata il soprano Gemma Bertagnolli, che ha saputo dare alle impervie linee vocali sapori espressivi sempre diversi, attenta agli affetti del testo metastasiano. L’esecuzione dell’Olimpie è stata condotta sull’edizione critica di Federico Agostinelli, consueto collaboratore della Fondazione Pergolesi Spontini , che ha preso a riferimento la partitura a stampa edita da Erard nella stesura definitiva in francese pubblicata a Parigi dopo il 1826. La tragédie lyrique infatti fu rappresentata nel dicembre 1819 all’Opéra di Parigi e fu poi tradotta da E.T.A. Hoffmann per la Opernhaus di Berlino, dove riscosse grande successo anche grazie all’introduzione del lieto fine. Nel 1826 Spontini ne realizzò la stesura definitiva nella lingua originale, arricchendola di balli e marcia trionfale, anticipando lo stile tipico del grand-opéra. A Jesi sono stati eseguiti in prima moderna un ballo dal primo atto, un Pas de trois e un Pas de cinq dal terzo. In queste musiche Spontini ha ricordato un po’ Beethoven, soprattutto nell’Ouverture, per lo stile incisivo e marcato e la densità timbrica, a volte Rossini, per l’iterazione di brevi incisi. Nei ballabili i ritmi di danza hanno invece riportato per brevi momenti al Settecento, nei passaggi graziosi ed eleganti; ma poi il clima marziale di altri e i ritmi vorticosi, energici e la grande massa orchestrale hanno creato momenti di netto contrasto. Rovaris è stato naturalissimo e vicinissimo agli orchestrali in Vivaldi e Pergolesi, sembrava dialogasse con loro e che la musica sgorgasse dalle sue mani anziché dagli strumenti; poi con l’aumentare dell’organico in Cimarosa e ancora di più in Spontini sempre più “direttore”, sempre meno dentro l’orchestra e più sul podio. Ma ha sempre, in ogni caso, comunicato l’intelligenza del fare musica, sottolineando contrasti dinamici ed emersioni timbriche in maniera attenta e raffinata.
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