Passione e morte di Giovanna d’Arco, vittima di guerra
A Düsseldorf La pulzella di Orléans di Piotr Iľjič Čajkovskij
Se la sua musica per i balletti e le sue sinfonie sono presenze comuni nei programmi di teatri e sale da concerto, delle undici opere liriche di Čajkovskij non ne vengono eseguite regolarmente che un paio, Evgenij Onegin e La dama di picche, e forse Iolanta. Delle altre si contano solo apparizioni sporadiche. Non sorprende, quindi, che abbia fatto notizia nella scorsa stagione anche nella Germania dove i teatri abbondano che due teatri come l’Oper Frankfurt e la Deutsche Oper am Rhein di Düsseldorf abbiano presentato praticamente in contemporanea due nuove produzioni de L’incantatrice e de La pulzella di Orléans. E proprio con un paio di recite di quest’opera, le ultime di una lunga serie inaugurata nello scorso dicembre, si è aperta la nuova stagione operistica a Düsseldorf.
Frutto della fascinazione che la figura di Giovanna d’Arco esercitò sul compositore fin dalla sua infanzia, l’opera in quattro atti su libretto scritto dallo stesso compositore vide la luce nel 1881 (dunque subito dopo l’Onegin) dopo uno studio di diversi lavori dedicati all’eroina della Guerra dei cent’anni, fra questi anche la Giovanna d’Arco di Verdi. L’influenza decisiva venne però dalla tragedia Die Jungfrau von Orléans di Friedrich Schiller, dalla quale Čajkovskij mutuò il titolo rigettandone però significativamente il finale con la morte di Giovanna in battaglia in favore di una maggiore aderenza alla storia con la fine sul rogo per eresia. Le licenze dalla storia, comunque, non mancano nell’opera di Čajkovskij, prima fra tutte l’innamoramento, reciproco, per il cavaliere borgognone Lionel, alleato dei nemici inglesi, che costa a Giovanna l’aiuto del Cielo e quindi la vita. Abbandonatala al carcere e alle torture degli uomini, le forze celesti la rassicurano tuttavia che avrà un riscatto nell’aldilà.
Debitrice del modello del grand opéra francese nelle grandi scene corali, l’opera risulta più riuscita nei momenti lirici dedicati alla sua protagonista, ritratta come donna prima ancora che nella dimensione eroica o nello slancio mistico. Una dimensione messa in rilievo dalla regista Elisabeth Stöppler, che ambienta la vicenda di Giovanna all’interno dello spazio unico di una chiesa, con un altare elevato e sovrastato da un grande rosone sul fondo e una cantoria sul lato (la scenografa è Annika Haller). Si tratta di uno spazio funzionale e simbolico, che sottolinea come ognuno dei personaggi, a partire da re Carlo VII scortato dalla facoltosa amante Agnès Sorel, si serva della religione per raggiungere i propri scopi. Alla lettura politica, si aggiunge la morte di Giovanna non sul rogo ma come una delle tante vittime civili di un conflitto bellico che devasta quello spazio sacro. Piuttosto avaro sul piano della spettacolarità, l’allestimento si affida soprattutto all’accurato disegno luci di Volker Weinhart per creare paesaggi diversi e per qualche raro effetto speciale. Ai costumi di Su Sigmund, invece, spetta il compito di proiettare la vicenda storica in un immaginario contemporaneo, nel quale la protagonista, armata di spadone e con jeans neri e maglione oversize che fa pensare a una cotta di maglia, appare una donna come altre ma con qualcosa di speciale e non solo per quell’angelo a lei così somigliante, che l’accompagna, più che guidarla, lungo tutta la sua vita terrena.
Straordinaria protagonista della produzione di Düsseldorf è il mezzosoprano Maria Kataeva, voce duttile e potente ma soprattutto interprete dal forte carisma: un nome da tenere d’occhio. Molto riuscite anche le prove di Richard Šveda, un Lionel di patina vocale eroica, e Aleksandr Nesterenko, che cesella con grazia il piccolo ruolo di Raymond, lo sposo promesso. Sergej Khomov disegna in maniera convincente l’arrogante e codardo Carlo VII, mentre Sami Luttinen, Thibaut d’Arc, e soprattutto Thorsten Grümbel, il cardinale, non mantengono sempre la giusta misura nel canto e nell’interpretazione scenica, che risultano spesso forzate. A loro e agli interpreti dei ruoli minori, si aggiunge la prova corposa del Coro della Deutschen Oper am Rhein preparato dal Gerhard Michalski. Buona la direzione di Vitali Alekseenok, piuttosto efficace nel rendere i molti umori dell’articolata partitura čajkovskijana grazie anche all’ottima prova dei Düsseldorfer Symphoniker.
Pubblico piuttosto scarso ma generoso di applausi per tutti.
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