Paolo Botti orchestra Lomax
Al Teatro Candiani di Mestre Paolo Botti & La fabbrica dei botti presentano Lomax lives!, presto su disco
Nel progetto Lomax lives! il musicista Paolo Botti (che alla viola ha da tempo affiancato un originale parco strumenti che comprende banjo, dobro e altro) riprende il lavoro sul materiale di Alan Lomax – che era confluito in un cd allegato alla rivista Musica Jazz – e lo riarrangia per l’ampia formazione de La fabbrica dei botti.
Come già era successo, assai felicemente, con il gruppo di Cristiano Calcagnile (di cui Botti non a caso fa parte) ispirato a Don Cherry, il concerto all’Auditorium del Centro Culturale Candiani di Mestre è stato anche l’occasione per il gruppo di dedicare la giornata precedente alla registrazione del materiale stesso del concerto, in previsione di un disco per l’etichetta Caligola.
Il rapporto di Botti con la musica di Lomax è, come lo stesso musicista ha più volte dichiarato, profondo e, diremmo, “strutturale”, dal momento che l’enorme bacino di registrazioni dell’etnomusicologo americano fornisce moltissimo materiale per quella che alla fine è una riflessione profonda sulla relazione con le tradizioni popolari di differenti geografie. Se infatti abitualmente il nome di Lomax è citato in relazione al folk blues afroamericano, in realtà la sua indagine si è estesa anche all’Europa e all’Italia (in collaborazione con Diego Carpitella) e questo è un formidabile volano per mettere in relazione lessici e materiali anche molto diversi, ma inevitabilmente confluenti dentro una sorta di DNA jazzistico collettivo.
Il concerto di Mestre – seguito da un pubblico numeroso e entusiasta – ha confermato questa “tensione”, che già era emersa nel primo step del progetto, quando i brani erano stati affrontati con formazioni differenti, dal duo al sestetto. Ripensati per una formazione di nove musicisti, i temi trovano spesso un’energia antica e al tempo stesso vibrante di attualità, anche grazie a un procedimento di agglomerazione a tre a tre che costringe a forti spostamenti geografici e anche di sapore sonoro.
Si passa così dal blues al merengue, da una melodia irlandese a un calypso, con un felice equilibrio tra la danzante giocosità che alcuni materiali impongono e la possibilità di aprirli sonicamente a inquietudini contemporanee (pratica spesso affidata al sax tenore e soprano di Edoardo Marraffa o alle chitarre “mutanti” di Enrico Terragnoli).
Forse leggermente meno convincenti sono stati alcuni momenti di raccordo, affidati a turno a uno strumento solista, non tanto per la qualità dei singoli musicisti (sempre notevole), quanto perché la “drammaturgia” complessiva del concerto è sembrata subire qualche lieve calo di tensione in quelle occasioni.
La sezione fiati, che oltre al già citato Marraffa comprendeva Dimitri Grechi Espinoza al contralto, Tony Cattano al trombone e un ottimo Gabriele Cancelli alla tromba (cui va il merito di essersi bene inserito nel progetto all’ultimo minuto, in sostituzione dell’indisponibile Luca Calabrese), si muove spesso compatta e in grado di evocare differenti profumi. Alla fisarmonica di Mariangela Tandoi va riconosciuta la capacità di inserirsi con equilibrio nei colori più marcatamente popular, senza indulgere nell’inevitabile suggestione idiomatica (Botti in questo ha il vantaggio di poter alternare i propri strumenti), mentre alla ritmica formata da Tito Mangialajo Rantzer e Zeno De Rossi – protagonisti anche di un bel duetto fischiettante nel bis – va il merito di una propulsione sempre intelligente.
A questo punto, il disco diventa piuttosto atteso.
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