A Padova torna la musica contemporanea
I primi concerti di Veneto Contemporanea con pezzi di Nono, Ambrosini, Sani, Francesconi, Sciarrino e Perocco
Un festival di musica contemporanea italiana con molte prime esecuzioni, anche per ridare delle possibilità a compositori costretti al silenzio da diversi mesi, un’esposizione di suoni e linguaggi, un punto di incontro tra esposizione visiva, uditiva e comunicativa in cui il passato gioca un ruolo fondamentale: è Veneto Contemporanea secondo Marco Angius, suo ideatore e determinatissimo fondatore.
Il direttore musicale e artistico dell'Orchestra di Padova e del Veneto è da qualche anno motore di iniziative che hanno dato impulso al tranquillo scorrere della vita musicale nella regione, soprattutto da propugnatore della produzione musicale contemporanea.
Iniziativa indubbiamente coraggiosa, lanciata oltretutto in una fase ancora complessa e difficile per le incertezze che accompagnano il tanto atteso riavvio delle attività culturali e musicali nel nostro paese. In un paese non certo generoso di investimenti sulla creazione musicale contemporanea, è inevitabile fare i conti con i rischi ancora molto elevati in fase di ideazione del programma che ha rivisto “al ribasso” lo slancio programmatico relativo alle novità puntando piuttosto sulla formula compromissoria di pezzi esistenti ma riveduti e corretti dagli stessi autori. Soluzione dettata dalla necessità ma che ha la virtù di recuperare un repertorio fatto di molte prime esecuzioni ma assai più raramente di seconde.
Da un passato nemmeno tanto recente arriva il pezzo scelto come prologo al festival: Polifonica-Monodia-Ritmica di Luigi Nono, un recupero reso possibile grazie al lavoro di conservazione della memoria del grande compositore veneziano che dal 1994 svolge l’Archivio “Luigi Nono”, tenacemente sostenuto dalla vedova Nuria Schönberg. In una finestra video aperta all’interno dell’interessante conferenza di Veniero Rizzardi, che accompagna il pezzo di Nono con una ricostruzione minuziosa del suo contesto storico e culturale, è la stessa Nuria Schönberg a raccontare della scelta del direttore d’orchestra Hermann Scherchen, che quel pezzo riteneva eccessivamente lungo e cerebrale, di mutilare di circa due terzi il pezzo del marito alla prima del 1951 a beneficio di una più benevola accoglienza da parte pubblico.
All’Auditorium del Centro Culturale Altinate per la prima volta a settant’anni dall’esecuzione ai Ferienkurse di Darmstadt veniva proposta per prima volta in Italia la versione integrale del pezzo nell’esecuzione degli strumentisti dell’Orchestra di Padova e del Veneto diretta con ascetica meticolosità da Filippo Perocco, artista in residenza presso l’orchestra, attraverso gli intrecci ritmici e le rigorose linee strumentali che denunciano l’ispirazione post-weberniana del primo Nono.
Filippo Perocco tornava come compositore anche nel secondo dei concerti dell’Orchestra di Padova e del Veneto, questa volta al completo, diretta da Marco Angius al Teatro Verdi in un programma che comprendeva anche composizioni di Claudio Ambrosini, Nicola Sani e Luca Francesconi.
Di Perocco era l’unico pezzo commissionato dall’Orchestra e presentato in prima assoluta: Come canto, voce, quattro canti “ascoltati, nascosti, immaginari” risolti in un tenue gioco di rimandi a una memoria indefinita, nei quali il delicato tessuto strumentale si fonde con il canto sommesso degli orchestrali stessi. Claudio Ambrosini riproponeva una versione restaurata del suo Rappresentazione di anima e corpo per soprano, clarinetto basso e orchestra, compilazione sul tema di amina e corpo (o piuttosto voce e parola) su virtuosistiche variazioni lessicali ed esoterici frammenti testuali Tantra e di William Blake. A Nicola Sani toccava il momento celebrativo all’anno dantesco con Al folle volo, titolo dall’esplicito riferimento al Canto XXVI dell’Inferno e al protagonista Ulisse e al suo slancio verso l’inarrivabile, riproposta in una nuova configurazione timbrica dell’organico strumentale concepito per la prima esecuzione del 2004. Chiudeva la serata il vitalissimo Concerto per clarinetto di Luca Francesconi dedicato a Bruno Maderna, riproposto a trent’anni dalla creazione in una nuova versione per il clarinettista Michele Marelli, che incarnava perfettamente la figura del virtuoso in questa versione riletta con le lenti della contemporaneità del classicissimo concerto per strumento solista e orchestra.
Autentico omaggio a uno dei numi tutelari della produzione musicale contemporanea nazionale era il terzo dei concerti in programma, che riproponeva Passionis Fragmenta di Salvatore Sciarrino a poco meno due anni dalla prima esecuzione nell’ambito dei festeggiamenti per i mille anni dell’Abbazia di San Miniato al Monte a Firenze.
Oratorio in miniatura ispirato alla figura di Minias, il martire Miniato, perseguitato e fatto uccidere dall’imperatore Decio intorno all’anno 250 per la fede incrollabile nel Dio unico e il rifiuto degli dei pagani. Pezzo d’occasione che si rifà al genere classico dell’oratorio sacro seguendone la partizione in recitativi, arie e duetti, riproposto tuttavia in una sintesi di mezzi che ne amplificano il portato drammatico. Voce unica, quella del soprano Livia Rado, che esprime gli isterici tormenti di Decio nel registro acuto e la pace interiore di Minias in quello grave, e trattamento strumentale del più classico Sciarrino fatto di vuoti suoni soffiati (del flauto di Matteo Cesari), del sommesso lamento degli archi (la viola di Danusha Waskiewicz e il violoncello di Michele Marco Rossi) e il respiro antico dell’organo (di Filippo Perocco).
Anche in questo caso, il breve pezzo di Sciarrino veniva presentato in una nuova versione con gli archi raddoppiati rispetto all’originale per quartetto. Esecuzione davvero impeccabile e intensa quella diretta anche in questo caso da Marco Angius, alla quale tuttavia non rendeva piena giustizia la scelta dell’immensa aula del Palazzo della Ragione, una festa per gli occhi per la sontuosa decorazione quattrocentesca ma poco adatta alle rarefatte atmosfere sonore del Maestro siciliano (per tacere del rumore di fondo delle piazze adiacenti).
Buona la prima per questo Veneto Contemporanea, ma cosa aspettarsi dalla seconda?
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