Oumou Sangaré, voce dell'Africa

La cantante maliana in concerto a Roma per il Romaeuropa Festival con il suo Mogoya

Oumou Sangaré
Recensione
world
Auditorium Parco della Musica, Roma
Oumou Sangaré
22 Settembre 2018

Un concerto di Oumou Sangaré è un’apoteosi di emozioni travolgenti. Non è soltanto gioia, entusiasmo, ma soprattutto, è esplorazione della parola. La cantante maliana entra sul palco della sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica, in occasione del suo live romano per il Romaeuropa Festival, come una divinità. Con movimenti sinuosi apre e chiude le braccia, avvolte da un abito azzurro, come fossero grandi ali, per contenere e lasciar andare, per accogliere e custodire. La sua parola, da canto potente, soul, si trasforma a volte in declamazione acuta, come in un comizio musicale dedicato a un’Africa nuova, alle donne, ai diritti umani, alla pace. «No women no life!» urla a gran voce dal palco.

Oumou Sangare

Ed è proprio al coraggio e alla resilienza delle donne africane, che Oumou Sangaré dedica la propria vita artistica. Da ambasciatrice FAO per il suo Paese, nonostante il suo attivismo sociale, si tiene ben distante dalla politica, facendosi ispirare invece dalla vita, dalle persone e dalle loro storie. È una delle più grandi voci d’Africa, insieme a Rokia Traoré, Y’akoto, Gigi Shibabaw e Fatoumata Diawara, che si ispira a Miriam Makeba, a Coumba Sidibé. Si batte, sin dagli inizi della sua carriera, contro soprusi e disuguaglianze, affrontando questioni scomode, come la poligamia o la disperazione che porta al suicidio. Alla fine degli anni Ottanta, guadagna la propria popolarità, grazie all’interpretazione della musica wassoulou, lo stile dell’etnia alla quale appartiene. E dopo un silenzio durato otto anni, lo scorso anno è tornata con un nuovo disco, Mogoya (Nø Førmat, maggio 2017) che in lingua bambara significa «la gente oggi».

Una riflessione sulla natura dei rapporti umani, sulle lotte affrontate dalle donne in Mali e sulla capacità di saper osservare i conflitti emotivi. Il suono dell’album è sottilmente aggiornato rispetto ai precedenti. A.l.b.e.r.t. (Vincent Taurelle, Ludovic Bruni e Vincent Taeger), i produttori francesi che hanno lavorato con Franz Ferdinand, Beck e Blondie, creano degli arrangiamenti luminosi, in cui invasioni di elettronica, o leggere scosse ritmiche, si fondono con gli strumenti della tradizione africana.

Oumou sangare

Il kamele n’goni (una piccola arpa a sei corde con la cassa in legno, ricoperta da pelle di capra), suonato dal bravissimo Abou Diarra, coesiste in un organico vario e dialoga con le tastiere di Alexandre Millet, il basso di Elise Blanchard, la chitarra elettrica di Guimba Koyate e le percussioni di Jon Grandcamp, senza compromettere il suono originale, che invece schizza fuori rinnovato, più vivo. Il live è un climax ascendente. Da un inizio più intimo, con brani come "Bena Bena", che tratta di ingratitudine e mancanza di apprezzamento, si passa all’elettrizzante "Fadjamou", che affronta il tema e l’importanza della famiglia, dove le voci delle coriste, Emma Lamadji e Kandy Guira, si mescolano alle pressioni ritmiche delle percussioni o alle giravolte sincopate dell’arpa e della chitarra. La platea della Sala Sinopoli si infiamma con "Kamelemba", e soprattutto con le incursioni entusiasmanti di Diarra e con il tocco inconfondibile della chitarra di Koyate. "Yere Faga", che vede nel disco la collaborazione del batterista leggenda dell’afrobeat Tony Allen, è un mix di stratificazioni poliritmiche, un brano dal groove potente. Una marcia silenziosa, interrotta da rapide piogge di chitarra elettrica, che avvolgono la voce di Sangaré, donandole un’eco profonda. Le atmosfere blues, afro pop, vengono rapidamente interrotte da un eccellente assolo del sax soprano del francese Émile Parisien, prima di trasformare la scena in un quadro ritualistico, catartico, tribale, con l’ultimo brano della serata, "Yala", tratto dal disco Oumou (1990). Sul palco prende vita una vera e propria festa propiziatoria. C’è tutta l’Africa in scena, pulsante e viva, si esprime nel corpo dei danzatori del Faso Dance Théatre, che non resistono e rispondono prontamente alla condivisione della gioia. Quello di Oumou Sangaré è un canto sacro della vita, è celebrazione delle radici. Aveva promesso di «portare un pezzo di Africa in Italia», ma ci ha mostrato molto di più. Un concerto che esprime il suo pensiero di umanità. «L’Africa non è solo guerra o povertà. Siamo poveri, ma umani. L’Africa è ospitalità».

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

world

Racconto dal Premio Parodi 2024, sempre meno "world music" ma sempre più riconoscibile

world

Il progetto Flamenco Criollo ha inaugurato con successo il Festival Aperto 2024

world

Il trio di Afridi Bharti al Teatro Sociale di Gualtieri