Nani freudiani e pagliacci nani
Il "Nano" di Zemlinsky, tratto dal "Compleanno dell'Infanta" di Oscar WIlde è la storia di un uomo bellissimo inconsapevolemnte annidato in un corpo bruttissimo: un"opera strausssiana/espressionista che riporta in scena la Vienna raffinata e freudiana di Mahler e Schönberg
Recensione
classica
"Io non so che vuol dire amore... / ma se vuol dire qualcosa come la paura, / o Principessa, allora io ti amo!": Der Zwerg, Il Nano, aveva capito molto della vita: gli mancava soltanto la consapevolezza di sé; psicanaliticamente parlando, coltivava un Narciso estraneo al principio di realtà, e in questi casi, se si insiste troppo, ci si ammazza da soli di dolore. Alexander von Zemlinsky, uno di quelli che abitavano la pazzesca densissima coltissima creativissima Vienna di inizio anni Venti, era un po' come il suo Nano, scoperto in un adattamento teatrale del Compleanno dell'infanta del maestro di tutti i De profundis, il vero santo Oscar Wilde. Intelligentissimo, sfortunatissimo, Zemlinsky a ventotto anni si era innamorato in modo necessariamente travolgente di quell'Infanta dell'Alma Schindler, che dopo pochi mesi di scapricciamento passionale lo aveva piantato con gelo micidiale, fidanzandosi con Gustav Mahler. Zemlinksy, come scriveva la perfida intelligente musa viennese in un lettera, era "basso, senza mento, gli occhi a bulbo, e quando dirige sembra un pazzo". Il Nano raccontato dal libretto freudiano di Georg Klaren è il dono crudele del Sultano alla diciottenne Infanta di Spagna: lei si scarta il dono, e prima gioca con quell'innocente che non sa d'esser brutto e come Cyrano de Bergerac è finissimo e coltissimo e sensibilissimo più di ogni bennato cavaliere, e poi prega la sensibile ancella preferita Ghita di svelare al poveretto il suo Altro da sé mostruoso, ovvero Se stesso. Il Nano morirà di atroce dolore, lentamente, mentre la inqualificabile smorfiosa se ne torna a ballare con un "donato e già guastato il giocattolo". Musica tutta da rimettere in repertorio, tra straussiana ed espressionista, quella del Nano, che Yuri Ahronovitch e l'Orchestra del Teatro Regio di Torino hanno restituito con delicatezza, evitando volgarità struggenti, tenute da parte invece per il vero "Altro Nano" della serata, l'abbinato Pagliacci di Leoncavallo, che in effetti è molto affine come modalità melodrammatiche (un brutto-Bestia ama una Bella-cattiva che non lo ama e alla fine ci scappano morti), ma che al cospetto di Zemlinsky, per attualità, profondità, densità espressiva, raffinatezza dell'analisi eccetera risulta spietatamente pacchiano, un vero relitto dell'opera italiana per altro così letteralmente osannato dal pubblico in sala alla generale e alla prima, che per il Canio di Alberto Cupido urlava e si sbudellava di entusiasmo quasi fosse di fronte alla summa reincarnata di tutti i Caruso della Storia. Il Nano era teatralmente finissimo: la regia di Annabel Arden, le scene e i costumi di Jamie Vartan hanno messo in aereo Jugendstil anche luministico la prima parte dell'opera, e il coro del Regio, che continua a cantare con una qualità stupefacente, era anche fatto di attrici perfette, che aleggiavano di qua e di là sul palco come tante curiose libellule intorno ai doni da scoprire. Raffaela Angeletti (l'infanta Donna Clara) e Terese Cullen (una Ghita très chic) avevano vocine carine, che lottavano bene con il canto difficile di Zemlinsky: molto rigolettiano e vocalmente piuttosto adeguato il Nano di David Kuebler. Dei Pagliacci, nella ormai insostenibile insopportabile, televisiva regia zeffirelliana dell'allestimento della Scala, messi a muro contro Oscar Wilde e Zemlinsky, e ululati di applausi e "bravo" loggionistici francamente un po' drogati di adorazione ideologica "a priori" (della serie "la vera opera siamo noi"), occorre dire del vocione gigantesco di Philip Joll (Tonio lo scemo) e della Anna Magnani/Silvana Mangano-Nedda di Svetla Vassileva, che se scappava subito con Silvio Campagnolo si soffriva meno tutti.
Note: vers. in lingua tedesca con sopratitoli in italiano
Interpreti: Brown/Angeletti, Cullen, Kuebler, Scarabelli, Rotondo, Bandera
Regia: Annabel Arden
Scene: Jamie Vartan
Costumi: Jamie Vartan
Orchestra: Orchestra del Teatro Regio
Direttore: Yuri Ahronovitch
Coro: Coro del Teatro Regio
Maestro Coro: Bruno Casoni
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