Mulatu come al cinema
Il vibrafonista etiope conquista con un concerto che sembra un film
Recensione
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Chi da Mulatu Astatke si aspetta acrobazie al vibrafono e virtuosismi, non può che rimanere deluso. Prima che un musicista, Astatke è un regista di suoni, un direttore d'orchestra dall'interno, che dosa, miscela e cucina gli ingredienti della sua musica con una sensibilità affascinante e rara. E soprattutto è uno che sa scegliere bene di che musicisti circondarsi. Sette giovani strumentisti che hanno appreso i linguaggi e le profondità dell'afro-jazz e restituiscono il tutto con veemenza e rispetto, dando vita a un muro di suono in cui le parti riescono a venir fuori nitide e dinamiche per un tessuto sonoro da cui emergono su tutti il trombettista Byron Wallen e il percussionista Richard Olatunde Baker.
Una band da cui Astatke è accompagnato, ma che a sua volta accompagna, timonando con accordi che sostengono le complesse strutture delle composizioni e ne danno il colore di un'atmosfera aperta e senza tempo.
Il maestro etiope si diverte nel vedere il pubblico completamente avvolto dalle sue suggestioni e la musica rotolargli addosso come una sorpresa in un viaggio cinematografico cucinato lentamente.
Come in"Broken Flowers" di Jim Jarmusch, pellicola che ha in qualche modo riaggiornato il potenziale evocativo dell'ethio-jazz del compositore, mostrando come anche in questa musica come nel film, l'importante non è dove si arriva, ma il viaggio stesso.
E proprio quando si pensa che il concerto stia per finire, il musicista rilancia con un'incursione nell'Africa nera, in una corsa vorticosa tra le note, venata di free (grazie all'ottimo sax di James Arben), funk e black music che la piccola orchestra sul palco suona col sorriso sul volto. Una musica che diverte, affascina e viene suonata divertendosi. Non poco di questi tempi.
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