Macbeth, la de-composizione del male

A Parma Lenz rilegge Macbeth tra Piave e Shakespeare per il Festival Verdi

Lenz Fondazione Macbeth
Foto di Fiorella Iacono
Recensione
oltre
Lenz Teatro, Parma
Verdi Macbeth
13 Ottobre 2018 - 20 Ottobre 2018

Il dramma “fantastico e vero” di un Macbeth trasfigurato, destrutturato e ristrutturato, de-composto e ri-composto: questa l’immagine complessa e, assieme, essenziale restituita dalla nuova produzione di Lenz Fondazione, commissionata dal Festival Verdi e presentata in questi giorni in prima assoluta.

Il Verdi Macbeth immaginato da Francesco Pititto (drammaturgia e imagoturgia) e Maria Federica Maestri (regia, installazione e costumi), ha sezionato il dramma di Shakespeare e la rilettura che ne ha fatto Verdi su libretto di Piave, isolando per entrambi i testi una selezione di brani e frammenti, brandelli più o meno ampi poi ricomposti in una nuova forma a rappresentarne un’essenza non tanto scarnificata quanto ricompattata in un’espressività assieme densa e pregnante.

Una visione che parte dalla dimensione chiusa, circoscritta di uno spazio composto da ventiquattro terrari abitati da migliaia di grilli e insetti vivi, recinto ideale dove si muovono i personaggi – anche loro “in gabbia” come gli insetti – che rievoca la struttura architettonica dell'antico santuario dedicato al culto di Hecate, divinità che regna sui demoni e sui morti e funzione drammatica fondamentale dell'opera shakespeariana, la quale in questa rielaborazione rivendica il proprio ruolo grazie all’interpretazione di Valentina Barbarini che ne incarna la figura sulla scena.

Verdi Macbeth (foto di Francesco Pititto)  ​
Verdi Macbeth (foto di Francesco Pititto)  ​

L’atmosfera è spessa, la rappresentazione si muove in un’aria abitata dal fitto frinire degli insetti e da un odore pungente, come di sangue rappreso, di morte già avvenuta e, se vogliamo, sempre esistita, perpetua e fuori dal tempo. Lo spettatore assiste a una sorta di racconto eterno, dove il dramma restituisce un fato ineluttabile, tratteggiato dal personaggio di Lady Macbeth evocato da un lato dalla recitazione intensamente plastica di Sandra Soncini e dall’altro dalla voce di soprano di Roxana Herrera Diaz, attraverso la cui solida espressività scorreva parte di quella rivocazione dell’opera di Verdi che percorre questa messa in scena come un fiume carsico, riaffiorante di volta in volta nei diversi snodi drammaturgici.

Un percorso che ha trovato altri momenti di passaggio verdiano ora negli interventi del Coro giovanile Ars Canto, guidato da Eugenio Maria Degiacomi nella trasfigurazione di “Patria oppressa” e in una trasposizione al maschile delle streghe, ora nella densità espressiva del Coro del Teatro Regio, presente nell’efficace montaggio audiovisivo – che miscelava immagini in movimento e interventi corali come un continuum assieme distaccato e pregnante, proiettato sullo schermo trasparente sospeso sulla scena – ora ancora nella figura di Macbeth, interpretato dal baritono Hyunwoo Cesare Kwon, chiamato a dare corpo alla debolezza dell’uomo di fronte al male, fino ad una sorta di regressione infantile che lo porta a giocare con un camaleonte, rettile “femmina” di stregonesca suggestione al quale sono dati in pasto i grilli scelti da Hecate.

Verdi Macbeth (foto di Fiorella Iacono)
Verdi Macbeth (foto di Fiorella Iacono)

Un intreccio drammatico il cui impasto espressivo veniva completato dalle rielaborazioni musicali di Andrea Azzali, capaci di miscelare frammenti registrati e interventi in live electronics in un magma dalla densità timbrica cangiante, facendo affiorare schegge più o meno ampie dell’opera di Verdi, suoni di violoncelli isolati e reiterati, ossessive sequenze sonore dal condensato colore metallico, il tutto in una plasticità narrativa coesa e pregnante, capace di racchiudere in un ideale e compatto involucro sonoro l’intera rappresentazione, una sorta di bozzolo acustico dove custodire – e osservare da una certa distanza – la sempiterna decomposizione del male e delle sue larve (“Se larva non sei tu, ch'io ti brandisca... Mi sfuggi... eppur ti veggo!”).

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