L’orizzonte e la memoria di Teresa Salgueiro

A Modena l’ex voce dei Madredeus ha incantato il pubblico del festival L’Altro Suono

Teresa Salgueiro (foto di Rolando Paolo Guerzoni)
Teresa Salgueiro (foto di Rolando Paolo Guerzoni)
Recensione
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Teatro Pavarotti, Modena
Teresa Salgueiro
09 Aprile 2019

È stato un viaggio musicale intenso quello proposto da Teresa Salgueiro in occasione del concerto tenuto al Teatro Pavarotti di Modena, secondo appuntamento dell’edizione 2019 del festival L’Altro Suono.

Come probabilmente tanti dei presenti tra il pubblico di questa occasione, chi scrive ha incontrato per caso la voce di Teresa Salgueiro, cantante e autrice di Lisbona, vedendola abitare le sequenze del film Lisbon Story di Wim Wenders, per poi seguirla in alcune occasioni dal vivo.

Da quella pellicola intrisa di poesia e di amore per il fascino della capitale portoghese sono passati 25 anni, nei quali la Salgueiro ha coltivato e portato a termine l’esperienza con i Madredeus – formazione dalla quale è uscita nel 2007 – sviluppando in seguito un suo percorso da solista che l’ha condotta a essere riconosciuta oggi tra le interpreti più rappresentative di quella commistione che unisce la tradizione popolare della sua terra a un respiro popular internazionale.

Un carattere restituito con viva pregnanza da questo concerto, il cui titolo O Horizonte e a Memória ha tracciato il binario espressivo lungo il quale la cantante ha dispiegato il suo racconto, animato da uno sguardo rivolto al presente e al futuro, ma anche dalla consapevole necessità di custodire una memoria composta di storia, valori e poesia.

Così da brani come l’iniziale “O Horizonte”, o dai seguenti “A Maresia” e “A Citade”, dove i testi e le musiche plasmate dalla stessa Salgueiro ci hanno restituito il suo personale immaginario attraversato da terse atmosfere lusitane, siamo stati accompagnati in un caleidoscopio di colori musicali ravvivati da omaggi offerti alla tradizione popolare più intensamente radicata come quella rappresentata da “Barco Negro”. Un brano, questo, il cui bagaglio di rimandi – dalle sofferte origini brasiliane alla firma poetica di David Mourão Ferreira, approdando all’iconica interpretazione di Amália Rodrigues – è stato restituito dalla Salgueiro con partecipata efficacia.

In questo tragitto musicale la cantante è stata accompagnata da un ensemble formato da Rui Lobato (batteria, percussioni, chitarra), Óscar Torres (contrabbasso), Fábio Palma (fisarmonica) e José Peixoto (chitarra), quest’ultimo storico componente dei Madredeus che la Salgueiro ha ritrovato in occasione degli ultimi tour. E proprio in omaggio al repertorio del vecchio gruppo è stata offerta un’oasi della memoria che ha rievocato le atmosfere di Lisbon Story grazie a brani emblematici come “Guitarra” o “Alfama”, dove gli scambi tra i diversi musicisti ha confermato un’affinità espressiva estremamente coinvolgente.

Un concerto particolarmente curato anche sotto l’aspetto scenico, dove l’essenziale eleganza delle luci rispecchiava la classe di una cantante che, con un passo indietro verso il buio delle quinte, lasciava anche fisicamente spazio agli interventi strumentali. Una sorta di scambio continuo che ha trovato una delle espressioni più pregnanti in “Gracias a la vida”, toccante omaggio alla celebre canzone della cilena Violeta Parra rivestito qui da un arrangiamento dall’inattesa originalità.

Ma il filo rosso che ci ha accompagnato lungo tutta la serata è stata la stessa voce della Salgueiro, strumento dalla pasta timbrica immutata, nutrita da quella personale espressività capace di fondere il canto radicato nella tradizione del fado e un’intensità immediata e seducente, che ha conquistato anche questa volta il calore del pubblico presente. Una conferma che, dopo 25 anni, non era per nulla scontata e che ha arricchito il piacere regalato da questo bel concerto.

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