L'onirico Don Quichotte di Michieletto

Parigi: all'Opéra Bastille dirige Fournillier

 Don Quichotte (Foto © Emilie Brouchon - OnP)
Don Quichotte (Foto © Emilie Brouchon - OnP)
Recensione
classica
Opéra de Paris Bastille
Don Quichotte
10 Maggio 2024 - 11 Giugno 2024

Un Don Quichotte visivamente trasportato negli anni ‘50, storicamente anni di grandi speranze e positività, mentre il Cavaliere è presentato come un uomo depresso e tormentato che li ricorda mentre scivola verso la morte chiuso nella sua stanza. Idea quest’ultima interessante, sorretta oltretutto da alcune riuscitissime trovate visive, molto evocative, come i cavalli delle vecchie giostre rotonde su cui Dulcinea ondeggia come in un onirico limbo, e come i danzatori di flamenco tutti neri che appaiono come inquietanti ombre striscianti dalle pareti per invadere lo spazio di Don Quichotte. Se si prova un po’ di delusione all’apertura del sipario all’apparire dell’allestimento, dominato da un freddo colore verdino, che ricorda tanti, troppi altri ambienti borghesi del regista Damiamo Michieletto e del suo fedele scenografo Paolo Fantin, anche musicalmente la direzione del maestro Patrick Fournillier, che ha preso il posto dell’annunciato russo Mikhail Tatarnikov, l’ultima di una lunga serie di cambiamenti nel cast, non convince alle prime battute, anche se Fournillier è considerato uno specialista di Massenet, perché la complessa e raffinata partitura di Massenet, in stile ondivagante tra Ottocento e Novecento, è inizialmente presentata con troppo energia, in contrapposizione con il visuale, adeguata solo quando è ispirata dai motivi popolari, e la sensazione di troppa energia si ripete all’apertura del secondo tempo ma  la direzione di Fournillier regala poi anche delle pagine di sublime esecuzione, di grande finezza, nei passaggi più lirici e romantici. Luci ed ombre anche per le voci, per la maggior parte buone ma non sempre adatte alla parti. Tra tutte, ottima il mezzosoprano Gaëlle Arquez, bel timbro ramato e sensuale, piglio sicuro da cortigiana navigata ma con momenti di delicata dolcezza come quando riconosce che, in fondo, Don Quichotte è un “folle sublime”, penalizzata però dai poveri costumi di Agostino Cavalca, deludenti sopratutto nella prima parte per gli interpreti principali, mentre più spettacolari negli ultimi atti per i ballerini ed il coro colorato e chiassoso, coro però spesso vocalmente sfocato. Nei momenti più intimisti si fa apprezzare come Don Quichotte il basso baritono Christian Van Horn, che si alternerà con Gábor Bretz, ma Van Horn ha qualche problema di dizione francese e non riesce a dominare completamente la scena, non è un credibile vecchio morente sopratutto perché appare poco anziano, ma si perde bene nei suoi pensieri. Il baritono Étienne Dupuis è invece godibile appieno come Sancho in versione di moderno maggiordomo, mentre pure poco chiari i ruoli dei quattro ammiratori di Dulcinée, immaginata come una reginetta di liceo, i quattro (interpretati da Emy Gazeilles, Marine Chagnon, Samy Camps, Nicholas Jones) presentati quindi vestiti da college, divisa che indosserà anche Don Quichotte quando si abbandonerà ai suoi ricordi di gioventù, mentre i quattro banditi sono i soliti banali teppistelli con giubbotto nero. Da sottolineare che il soffitto ribassato della stanza non aiuta la risonanza delle voci, va molto meglio acusticamente quando la scena letteralmente si apre in fondo con effetti ottici d’infinito molto ben riusciti creando un efficace parallelismo tra stanza e mente. Tutto si svolge in quello spazio chiuso, con i libri di Don Quichotte, i suoi pensieri, i suoi ricordi, i suoi desideri, quella stanza è un mondo dai limiti che si dilatano grazie anche ai video di Roland Horvath (rocafilm) e alle luci, ed ombre, di Alessandro Carletti, una stanza che si popola massicciamente e dove si danza anche tanto, efficaci le coreografie di Thomas Wilhelm. C’è l’introspezione, c’è l’ironia, c’è la poesia, c’è la dimensione onirica e popolare, manca un po’, forse volutamente, quella eroica e tragica, e la direzione di Fournillier quando cerca di darla con l’orchestra appare in contrapposizione con l’idea registica. Se la sala è freddina per i primi atti, alla fine però saluta lo spettacolo con applausi.

 

 

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