L’omaggio musicale di Francoforte a Ligeti

All’Alte Oper con “Ligeti 100” la hr Sinfonieorchester con il Vocalconsort di Berlino e il clavicembalista Mahan Esfahani omaggia con un grande e composito concerto il celebre compositore nel centenario della nascita

Ligeti 100 (Foto Sebastian Reimold)
Ligeti 100 (Foto Sebastian Reimold)
Recensione
classica
Frankfurt am Main, Alte Oper
Ligeti 100
31 Marzo 2023

A Francoforte non passa inosservato il centenario di György Ligeti, il grande compositore transilvano (o austroungarico, come lo presenta il programma), al quale la città tedesca volle assegnare il prestigioso Premio Theodor W. Adorno nel 2003 e il Frankfurter Musikpreis nel 2005, poco prima della sua morte, avvenuta a Vienna nel 2006. “Ligeti 100” è una vera festa, organizzata dalla hr Sinfonieorchester e dal suo direttore principale Alain Altinoglou nella Sala grande dell’Alte Oper per ricordarlo attraverso un concerto lungo quasi tre ore. Nel programma ci sono alcune delle sue composizioni più iconiche, che testimoniano delle sue multiformi esperienze e scelte stilistiche, frutto della sua dichiarata curiosità: “Resto aperto a tutte le suggestioni, perché sono estremamente curioso. Il materiale dell’arte è costituito da tutte le culture e dal mondo intero.”

Coprono un arco di oltre mezzo secolo, dal 1951 fino al 2003, le composizioni presentate nelle tre sezioni del lungo concerto, impaginati secondo uno schema rigorosamente non cronologico ma orientato a dare risalto alla versatilità della sua vena compositiva. La serata si apre con una testimonianza della sua stagione Fluxus, cioè il Poème Symphonique per 100 metronomi, presentato nel 1963 a Hilversum non senza contestazioni da dieci “interpreti” in frack con lo stesso Ligeti nella veste di insolito direttore d’orchestra. Nella serata francofortese, il pezzo veniva riproposto in una versione meno giocata sulla dimensione performativa ma assai di più su quella inclusiva e “spaziale”, con i metronomi distribuiti fra il palcoscenico e la sala e azionati dagli stessi spettatori. Soltanto quando anche l’ultimo metronomo si è spento, il direttore Altinoglou dà l’attacco al quasi contemporaneo Atmosphèresdel 1961, altra celebre composizione ligetiana, scritta per grande orchestra nella quale ogni singolo strumentista concorre al complicato reticolo di strati sonori, che conferiscono un movimento implicito alla struttura sostanzialmente statica dell’insieme. “Mi sono detto: che ne direste di comporre un pezzo che sia un suono paradossalmente continuo, qualcosa come Atmosphères, ma che debba essere costituito da innumerevoli sottili fette di salame?”: nasce da questa suggestione gastronomica Continuum per clavicembalo del 1968, che con Atmosphères costituisce una sorta di assonanza ideale. Il pezzo è eseguito dal nervoso virtuosismo di Mahan Esfahani, come le altre due composizioni per clavicembalo di carattere estremamente diverso presenti nel programma: lo stravagante Hungarian Rock e la Passacaglia ungherese entrambi del 1978.

Più legati a uno sperimentalismo molto anni Sessanta anche nella ricerca di un’inedita notazione grafica, Volumina del 1961 per organo (e Altinoglou solista) usato come macchina di suoni dalle possibilità più estreme ed ardite, la protoelettronica di Artikulation per nastro magnetico del 1958 accompagnato dalla proiezione di creative quanto primitive oggi animazioni digitali, e le sublimi insensatezze rigorosamente partiturizzate di Aventures del 1963 riproposto con le tre voci dei bravissimi cantanti/performer Sophia Körber, Marion Lebèguee Kamil Ben Hsaïn Lachiri con contrappunto strumentale di sette musicisti dell’orchestra ad accentuare il carattere di dialogo assurdo ma “affettivamente espressivo” come chiesto da Ligeti.

Se il grosso delle composizioni presentate nel concerto proviene dal decennio creativamente più fecondo del compositore, cioè fra la fine degli anni Cinquanta e la fine degli anni Sessanta, non mancano comunque anche due pezzi rappresentativi degli estremi della sua parabola artistica. A chiusura del primo segmento, il virtuoso e versatile cornista Marc Gruber si misura come solista nell’Hamburgisches Konzert, ultima composizione di Ligeti qui presentata nella revisione del 2003, solo in apparenza (e con una buona dose di ironia) riferito alla forma del concerto con strumento solista ma frammentato nella struttura classica in 14 brevi movimenti di carattere estremamente vario anche nella timbrica del solista, che si alterna fra il suono scarno e instabile del corno naturale e quello più pieno corno moderno. Nel secondo segmento, la hr Sinfonieorchester prende congedo dal pubblico con il giovanile Concert Românesc per orchestra del 1951, diretto con energia trascinante da Altinoglu che ne esalta il colto folklorismo di sapido sapore balcanico, molto prossimo al modello bartókiano.

Per chiudere la lunga maratona musicale si è scelto uno dei pezzi più iconici del metodo compositivo ligetiano e fra i suoi più celebri, grazie alla scelta di Stanley Kubrick di inserirlo nella colonna sonora di 2001: Odissea nello spazio. Idealmente introdotto da due estratti (Kyrie e Gloria) della Missa Papae Marcelli di Giovanni Pierluigi da Palestrina disseminati nelle prime due parti del concerto, come a svelare un ideale filo fra Cinquecento e “Neue Musik”, Lux Aeterna trova nel Vocalconsort di Berlino un ensemble ideale di voci soliste, come anche nell’arioso Clocks and Clouds del 1973 e nei preziosi Zwei Stucke fur gemischten Chor a cappella del 1953, pure presenti nel programma. In Lux Aeterna la complessa e affascinante polifonia microtonale viene dipanata all’ascolto in maniera magistrale dalle 16 voci soliste a tutti gli effetti. Nella sala dell’Alte Oper si ripete l’arcano incanto di quegli sguardi davanti al monolite nero, come davanti a una porta aperta a infiniti altri mondi possibili fatti di puro suono.

Pubblico non foltissimo ma resistente e soprattutto partecipante (non solo coi metronomi). Caldi applausi.

 

 

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