Lo Schumann essenziale e sfavillante di Gatti
Vivo successo a Reggio Emilia per il direttore alla guida della Mahler Chamber Orchestra
Ad aprire il nuovo anno alle proposte concertistiche del Teatro Valli di Reggio Emilia è stato chiamato Daniele Gatti alla guida della Mahler Chamber Orchestra, compagine che ha maturato una certa consuetudine con questo palcoscenico, frequentato con significativa costanza già con Claudio Abbado, indimenticato maestro la cui presenza negli anni passati alla testa di questa stessa compagine orchestrale è stata ricordata in avvio di serata.
In questa occasione Gatti, proseguendo quindi la tradizionale presenza della MCO nella città emiliana, ha offerto un programma che accostava due opere di Robert Schumann come le Sinfonie n. 2 in do maggiore op. 61 e n. 4 in re minore op. 120, tratteggiandone rispettivamente due dimensioni interpretative ben circostanziate e distinte, pur nella coerenza di fondo che identifica la personale lettura schumanniana del direttore. Una visione che, nel complesso, sviluppa la cura estrema del dettaglio applicandola con particolare impegno da un lato agli intarsi timbrici che abitano queste pagine, e dall’altro a un’articolazione del fraseggio che restituisce in maniera cristallina le complessità dell’ordito sinfonico concepito dal compositore tedesco.
Caratteri che nella lettura della Seconda sinfonia op. 61 si sono manifestati nello sfavillante suono espresso con compattezza trascinate da parte di un’orchestra che ha dato forma ai quattro movimenti con una naturalezza e una precisione davvero coinvolgenti. Palese il lavoro svolto da Gatti sui tempi, brillantemente vivaci, sugli attacchi, cesellati con precisione, sugli impasti timbrici, che hanno preso corpo attraverso un’asciuttezza capace di ripulire l’afflato “romantico” della partitura dalle tentazioni di malintese ed affettate “romanticherie”. In questo senso emblematica si è rivelata la cifra del tema che caratterizza il terzo movimento, quell’ispiratissimo arco melodico che apre l’“Adagio espressivo” qui disegnato con un’intensità rigorosa e densa – richiamata anche dalla pulizia riservata al passaggio contrappuntistico – priva di accondiscendenza sentimentale ma carica di tensione, appunto, “espressiva”.
Con la Quarta sinfonia op. 120 il confronto tra la dettagliata essenzialità della lettura di Gatti e la composita tessitura musicale di un’opera che porta tra le pieghe delle sue pagine le ricche complessità – ma anche le contraddizioni – di una genesi lunga e articolata, ha ribadito l’efficacia della risposta orchestrale. La “Mahler” anche in questo frangente ha seguito in maniera univocamente reattiva la visione del direttore, affrontando con rara brillantezza il percorso tracciato dall’intera pagina sinfonica senza soluzione di continuità, scorrendo i movimenti tra timbriche eleganti, liriche aperture e agogiche trascinanti, per arrivare d’un fiato alla fine di un concerto che ha giustamente raccolto un pieno successo, testimoniato dai lunghi applausi tributati da un teatro gremito a direttore e orchestra (con tanto di timida richiesta di bis, naturalmente non concesso).