L'ironia di De Simone

Napoli: il ritorno alla Scarlatti di Roberto De Simone, con il concerto Talvolta nel Corso dell'Eternità 

Concerto De Simone
Concerto De Simone
Recensione
classica
Sala Scarlatti, Napoli
Concerto De Simone
10 Ottobre 2018

Bentornato alla Scarlatti, Roberto De Simone, con il concerto Talvolta nel Corso dell'Eternità  (1968-2018) per "Scarlatti Contemporanea" in occasione del centenario di fondazione dell'Associazione Alessandro Scarlatti di Napoli (1918-2018) su versi di Ferlinghetti, Enzensberger, Bob Dylan, tra erose saggezze, citazioni, gioco e forma. Fitto di rime ricercate, allusioni sonore e timbriche, dai riflessi attuali. Alcuni del pubblico perplessi, altri divertiti, le citano mentre escono dalla sala Scarlatti del conservatorio di San Pietro a Majella che ha collaborato al concerto mercoledì 10 Ottobre. Difficile immaginare un De Simone più musicalmente maturo di così, con Eugenio Ottieri a capo della Sonora Chamber Ensemble, Adria Mortari e Raffaello Converso alle voci, con la cornice di Maddalena Crippa voce recitante, dalla parola teatrale ghiacciata e stilizzata, perfetta per far esplodere emozione e comicità.  La sala - strapiena, silenziosamente folgorata. 

Nella prima parte De Simone è forte e severo contro le spinte ideologiche del liberalismo capitalistico anni sessanta in contrapposizione al mito religioso del "Salvatore".  Deborda virtuosismo barocco, esibito nei giochi di parole, nelle insistenze sui ritmi. Ma poiché lo stile vocale di Adria Mortari, di fattura alla Berio, rifugge da qualsiasi concretezza, a raccontare il tutto vale soprattutto l'impasto timbrico dei due pianoforti Gennaro Musella e Salvatore Biancardi che catturano ogni singola sfumatura sonora nei ragtime di J. Morton, inseguita da De Simone per una vita. I due pianisti, Biancardi anche all'organo in alcuni brani, entrano sul tappeto smagliante del ritmo sciogliendo tutta la malinconia dell'opera. Perfetti nella ricerca di un tempo ideale, nei contrasti fra le parti e il tutto, ed i volumi, l'intreccio timbrico, i colori nascono dai due pianoforti. Qui i timbri sono tanti ed il fronte musicale è una meraviglia: il quartetto d'archi guidato dal violino di Francesco Solombrino, saldo, non particolarmente incisivo ma impeccabile, le trombe ed il corno di Marco Sannini e Alessandro Consalvo tengono sul velluto l'impasto con la voce recitante e sfoggiano sonorità sussurrate e morbide, Stefano Costanzo batteria e percussioni, restituisce al meglio la consistenza ritmica e spesso nevrotica dei tempi. 

Colpisce la pertinenza al tema del naufragio, e lo stile sfaccettato. Nella squadra si inserisce, Raffaello Converso voce e chitarra e Francesco Ponzo al banjo, nuovi protagonisti con una ballata sul Titanic che affonda, preludio al finale tutto sul naufragio. All'inizio titubanti, nei primi giri di accordi, poi in crescendo senza remore.     

De Simone rema controcorrente, in questo nostro tempo fragile, di errori e insicurezze. Quest'opera così ironica, è costruita bene, con esattezza millimetrica di un viaggio di speranza, a tratti nostalgica, ostinata e eterea allo stesso tempo, e colpisce proprio perché così diversa da tutto ciò che ci circonda. 

Scappano alcuni errori nella macchina organizzativa però, dove la sala è sembrata inadeguata. Quando la voce recita si sconfina nel teatro, le luci in scena divengono essenziali e anche l'occhio fa la musica. 

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