L’insolito dittico di Verona

Per la stagione del Teatro Filarmonico ripresa del dittico Il parlatore eterno di Ponchielli e Il tabarro di Puccini

Il Parlatore eterno (foto Ennevi Foto)
Il Parlatore eterno (foto Ennevi Foto)
Recensione
classica
Verona, Teatro Filarmonico
Il parlatore eterno / Il tabarro
19 Novembre 2023 - 26 Novembre 2023

Se la stagione estiva all’Arena obbliga a titoli in grado di attirare le grandi masse, la stagione extra-estiva della Fondazione Arena di Verona al Teatro Filarmonico si può permettere qualche interessante riscoperta. E così dopo il pressoché scomparso Amleto di Franco Faccio presentato in ottobre, torna in scena il dittico insolito già presentato a porte chiuse nel 2021 durante i mesi della pandemia.

Apre il Ponchielli buffo, l’unico della sua produzione per lo più scomparsa dalle scene con l’unica eccezione di Gioconda, de Il parlatore eterno, “divertissement” per baritono (quasi) solo su libretto di Antonio Ghislanzoni, illustre esponente della scapigliatura milanese, noto soprattutto per i versi dell’Aida verdiana e un po’ meno per quelli de I promessi sposi e I lituani dello stesso Ponchielli. Protagonista o piuttosto personaggio unico, con l’eccezione del coro nel finale e di qualche corista che serve i piccoli ruoli previsti, è il giovane medico Lelio Cinguetta, corteggiatore di Susetta di cui pretende la mano contro il parere dei genitori, il dottor Nespola e la consorte Aspasia. Inesauribile parlatore, Cinguetta finirà per ottenere il consenso alle nozze per sfinimento genitoriale, purché “cessi di chiacchierar”.

Musicalmente siamo dalle parti del Donizetti buffo con il classico repertorio di gag e acrobazie linguistiche (niente a che vedere con i fuochi d’artificio rossiniani, comunque) e praticamente tutta l’azione si appoggia sulle doti del protagonista, per il quale, a detta di Ghislanzoni, “ci vuole un baritono che abbia voce, voce, voce, e molta scioltezza di scilinguagnolo.” Il baritono in questione, come già nel 2021, è Biagio Pizzuto, che ha presenza e voce ma forse difetta un po’ della sfrontatezza e dello “scilinguagnolo” richiesto, complice anche la direzione di Gianna Fratta piuttosto incline ai tempi distesi della commedia sentimentale piuttosto che a quelli frenetici della farsa. Puntuali gli interventi del Coro della Fondazione areniana preparato da Roberto Gabbiani.

Il gradevole spettacolo firmato da Stefano Trespidi per la regia e con la scena unica di Filippo Tonon, che incide data e luogo della prima del lavoro ponchielliano (ossia Lecco 18 ottobre 1873) su un muro sbrecciato, aggiunge movimento e pittoresche figurine con un certo gusto surreale a un plot altrimenti quasi inesistente con il classico gioco di porte delle pochade di scuola francese. Aggiungono un sapore d’epoca i costumi ricostruiti da Silvia Bonetti sulla base dei bozzetti originali della prima lecchese.

Il Tabarro (foto Ennevi Foto)
Il Tabarro (foto Ennevi Foto)

Clima diverso per la seconda parte della serata, che presenta Il tabarro di Giacomo Puccini, scorporato dagli altri due volets del Trittico. È improntata al realismo la scena di Leila Fteita: la chiatta di Michele e Giorgietta sul davanti, la riva parigina con due fanali dietro e un fondale con la proiezione di un caldo tramonto di fine estate. Diligentemente rispettosa delle prescrizioni sceniche e senza sorprese la regia di Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi, dove tutto è come e dove deve essere. Molto apprezzabile la realizzazione musicale dell’Orchestra della Fondazione Arena di Verona guidata anche nella seconda parte da Gianna Fratta, un po’ misurata nello slancio ma molto attenta al prezioso colorismo strumentale della scrittura pucciniana. Rispetto al cast del 2021 cambiano i due protagonisti Giorgetta e Michele, che sono Alessandra di Giorgio e Gevorg Hakobyan, entrambi affidabili sul piano vocale e di buona presenza scenica, mentre Luigi è ancora Samuele Simonini, tenore dal bel timbro e scenicamente disinvolto. Buono anche il resto del cast, soprattutto la Frugola crepuscolare di Rossana Rinaldi, il brillante Tinca di Saverio Fiore e l’ottimo Talpa di Davide Procaccini.

Pubblico piuttosto scarso all’ultima delle quattro recite del cartellone. Applausi calorosi.

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