Lezione di suspense con Bartók 

A Monaco di Baviera Katie Mitchell firma con Judith un riuscito allestimento cinematografico del Castello di Barbablù con il Concerto per orchestra di Bartók come prologo 

Judith (Foto Wilfried Hösl)
Judith (Foto Wilfried Hösl)
Recensione
classica
Monaco di Baviera, Nationaltheater
Judith 
01 Febbraio 2020 - 29 Giugno 2020


Per illustrare la differenza fra suspense e sorpresa, Alfred Hitchcock spiegava che, se esplodeva una bomba sotto al tavolo attorno al quale lui e il suo interlocutore erano seduti, il pubblico avrebbe avuto quindici secondi di sorpresa. Ma se il pubblico veniva informato in anticipo non solo della esistenza della bomba sotto il tavolo ma anche che la bomba sarebbe esplosa dopo quindici minuti, si sarebbero regalati al pubblico quindici minuti di suspense. Conclusione: quanto più il pubblico sa, tanto più funziona la suspense. Sembra molto pertinente l’accostamento a uno dei maestri riconosciuti della suspense nel raccontare di Judith lo spettacolo allestito all’Opera di Stato Bavarese da Katie Mitchell. Innanzitutto, perché delle due parti di cui è composto lo spettacolo, la prima è una sorta di preambolo filmico con colonna sonora di Bela Bartók (nello specifico il suo Concerto per orchestra). Ma anche perché lo stile scelto per la seconda parte, cioè il Castello del duca Barbablù, è prettamente cinematografico e certamente molto consapevole della lezione hitchcockiana. Tutto questo per non dire che il librettista Béla Balázs fu anche una eminente figura di teorico del cinema degli esordi oltre che regista, e certamente la scansione delle scene del Barbablù ha molto di una sceneggiatura filmica. 

Di primo acchito può far sorridere l’eccesso di realismo con il quale il preambolo filmico – realizzato da Grant Gee per la regia e Ellie Thompson per l’editing secondo i canoni del thriller metropolitano e girato in una Londra notturna e sinistra – introduce il soggetto: il detective di polizia Anna Barlow indaga sulla scomparsa di tre escort mature di cui si sono perse le tracce. Come se i tasselli di un puzzle si ricomponessero, vediamo la terza donna adescata, narcotizzata e condotta da un complice nella lussuosa casa di un uomo misterioso che osserva i movimenti dalle immagini rimandate dalle telecamere a circuito chiuso. Come nei crimini seriali, alcune tracce si ripetono: tutte avevano un crocifisso, tutte portavano una parrucca bionda. Anna Barlow a quel punto diventa Judith, crocifisso e parrucca bionda, decisa a venire a capo del mistero: non beve il sonnifero come le altre e nel garage dove la macchina si è fermata il suo sguardo incrocia quello del suo aguzzino … A questo punto il pubblico scivola nel thriller dell’opera avendo tutti gli elementi che compongono quella che finisce per diventare una appassionante caccia all’uomo (e alle donne scomparse), tesissima e trascinante, di cui non riveliamo il finale per non rovinare il colpo di scena. 

Inevitabilmente scontenterà chi è legato a una visione più favolistica o magari esegetica della favola di Bartók e Balasz (come la versione allestita da Fabio Ceresa al Teatro La Fenice, per citare una versione fra le più recenti, fra l’altro in abbinamento alla diversissima A hand of bridge di Samuel Barber per “fare serata”), ma è intimamente coerente con il fare teatro di Katie Mitchell, che sa usare come pochi registi una narrativa per immagini gelidamente perfette e spietatamente taglienti ma, soprattutto, per niente compiaciute. Virtuosistico è certamente anche l’eccezionale lavoro dello scenografo Alex Eales che costruisce una sequenza di ambienti in scivolamento orizzontale, splendidamente illuminati da James Farncombe, che ricordano l’inquietante squallore da stanza anatomica di certo cinema gore di serie Z (e non possono non provocare i brividi quell’asettico letto operatorio circondato da ordinatissimi strumenti metallici per la sala delle torture o quelle docce sopra pareti di piastrelle bianche sbrecciate per il mare di lacrime della sesta stanza). 

Assolutamente straordinari i due protagonisti di questo riuscitissimo film scenico. La Judith della finzione (e il detective Barlow del film) è Nina Stemme, perfetta nel rendere anche vocalmente quel vacillare fra timore e occulta intesa con l’assassino che è il modo più sincero di rendere piena giustizia al personaggio bartókiano. John Lundgren è un Barbablù minacciosamente cupo ma intimamente arrendevole, come il serial killer che implora silenziosamente di essere arrestato. In intesa perfetta con il progetto scenico, Oksana Lyniv guidava una davvero prodigiosa Bayerisches Staatsorchester nella sontuosa colonna sonora dello spettacolo: ricchissima di colori, attenta all’effetto, sagace nella costruzione di un tesissimo arco drammatico, soprattutto, ovviamente, nel Barbablù

Alta tensione nella grande sala del Nationaltheater, sciolta nel finale da applausi molto generosi per tutti. 

 

 

 

 

 

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