L'Europa Galante e Fabio Biondi inaugurano la Scarlatti
Napoli: Bach per l'apertura della stagione
È un Bach cresciuto all'ombra di uno stile francese, quello che ha felicemente inaugurato la stagione dell'Associazione Alessandro Scarlatti di Napoli firmato da Fabio Biondi e l'orchestra barocca Europa Galante. Non sono solo le partiture strumentali di quattro Ouvertures, BWV 1066, 1068, 1067, 1069, e i virtuosismi di archi, flauto traverso, trombe, fagotto, oboe, tiorba ecc. a evocare lo storicismo e il gusto del tempo, impregnati di un barocco vaporoso e danzante; ma anche e soprattutto la scelta stilistica di fondo, realistica e filologica insieme. Lui diverso dagli altri barocchi, per la fattura del contrappunto e la fantasia del dialogo tra il tutto e singoli strumenti: lui sempre perfetto nella scrittura. E che però qui con le cinque Gavotte e Minuet, sei Bourrée, Sarabande, Passepied ecc. con ritornelli e da capo, avrebbe potuto rappresentare il trionfo della noia. Mai affiorata, invece. Per meriti musicali, sonori e interpretativi, che, insieme, hanno trasformato le danze delle quattro Ouvertures in un frizzante gioco, all'inseguimento del suono perfetto. Imprevedibile e con tutto il disincanto, la naturalezza e spudoratezza dei timbri di "strumenti antichi": la cura del suono, le emissioni, la tecnica e gli attacchi integralissimi ed impeccabili, con ottimo cembalo Paola Poncet costruiva perfettamente la narrazione melodica. Conduceva al violino, Mario Biondi, corretto negli equilibri, di bel suono sugli archi, prudente negli stacchi ritmici. Lucente l'apertura del concerto con l'ouverture in Do maggiore che segue poi più intima anche perché ridotta nell'organico. La seconda invece, in Re maggiore, con l'aggiunta di trombe e timpani sfoggia l'Air (quella sdoganata sulla quarta corda), con suono caldo e timbrato, perfetto negli intrecci con tiorba Giangiacomo Pinardi e archi Andrea Rognoni, Stefano Marcocchi, Alessandro Andriani, Patxi Montero. Charlie Fischer ai timpani rende al finale la Gigue molto avvincente, un po' meno la sezione delle trombe, a tratti evanescenti. Peccato perché la qualità eccellente dell'esecuzione dell'Air aveva promesso molto di più. Nella seconda parte la 1067, con parti in solo del flauto traverso Marcello Gatti, ha morbidezza e scatto allo stesso tempo, leggerezza nei passi di puro lirismo, ma costantemente intinto in un ricercato marchio sonoro, come nei contrasti della Polonaise e Double. Chiude il concerto la 1069 in Re maggiore, avvolta dalla corposa massa del tutti di pasta meno cangiante rispetto alle altre ma sempre lucida nella tenuta ritmica. Ultima sorpresa la risposta del pubblico, bis dell'Air e applausi infiniti.
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