Le trentacinque teste di Salome

Hans Neuenfels firma il nuovo allestimento dell’opera di Richard Strauss alla Staatsoper di Berlino

Salome (foto Monika Ritterhaus)
Salome (foto Monika Ritterhaus)
Recensione
classica
Staatsoper di Berlino
Salome
04 Marzo 2018 - 17 Marzo 2018

Gestazione difficile per la Salome ha concluso con discreto successo una breve serie di recite in una Staatsoper tirata a lucido dopo sette anni di chiusura (e di cui non è prevista per ora nessuna ripresa nella prossima stagione). Prima l’abbandono dell’annunciato Zubin Mehta, che aveva dovuto rinunciare per motivi di salute. Poi l’abbandono clamoroso di un sostituto di prestigio come Christoph von Dohnányi alla vigilia della prima per “inconciliabili divergenze di visione artistica” con il regista Hans Neuenfels, che nonostante l’oramai veneranda età non rinuncia al rodato ruolo di enfant terrible della scena lirica. Pare che lo scontro sia stato scatenato dalla forma marcatamente fallica della cisterna di Jochanaan che Neuenfels vuole in scena per quasi tutta la rappresentazioni. I simboli sessuali comunque si sprecano e non sarebbero ovviamente nemmeno fuori luogo in un lavoro come questo, se non fosse che in questo spettacolo vengono esibiti con un gusto sarcastico e demistificante, come quei testicoli esibiti da un Oscar Wilde in scena fin dall’apertura della cisterna. Gusto che è la cifra più caratteristica dell’ultimo Neuenfels, più interessato a perpetuare la sua fama di provocatore che a offrire una lettura coerente dell’opera (e a questo proposito il recente Lucio Silla visto a Basilea è un vero e proprio manifesto del suo metodo). Oscar Wilde a parte, gli attributi più evidenti di questa Salome sono la cifra espressionista imposta da Hans Neuenfels alla regia e la sobria eleganza déco in bianco e nero, con qualche punto di rosso, di scene e costumi di Reinhard von der Thannen. Il gioco perverso dell’androgina principessa si svole sul filo di un insolito “pas de deux” con il suo autore (annunciato dalla annunciato dall’insegna “Wilde is coming” al neon rosso): è lui che la spoglia dei veli prima del corpo a corpo con Jochanaan, è ancora lui in guêpière che l’accompagna nella danza che si chiude con una copula mortifera ed è lui che la osserva durante il necrofilo monologo in una sorta di cimitero con 35 teste di Jochanaan perfettamente (allineate in cinque file da sette, per chi si diletta di cabala) e, riducendone una in frantumi, decreta la fine del gioco.

Nel complesso la distribuzione vocale riflette, come molto spesso in queste circostanze, considerazioni legate alla resa scenica. Da questo punto di vista, dell’interpretazione della protagonista Ausrine Stundyte colpisce soprattutto l’adesione al disegno registico e la plasticità dell’interpretazione attoriale in duo con l’Oscar Wilde muto di Christian Natter, più che un mezzo vocale che soffre di una certa opacità nell’emissione e di qualche forzatura nel registro acuto. Lo Jochanaan di Thomas Mayer si vorrebbe di tempra più robusta, mentre di spicco sono le prove di Marina Prudenskaya, una fosca Herodias di grande classe vocale, e di Gerhard Siegel, un Herodes insolitamente serio e vocalmente a posto. Nessuna debolezza nei ruoli minori, forniti per lo più dalla premiatissima ditta della Staatsoper, e nota di merito per i peneranti Narraboth di Nikolai Schukoff e paggio di Annika Schlicht.

Più che Neuenfels, vero vincitore di questa produzione è il ventiquattrenne Thomas Guggeis, assistente del padrone musicale di casa Daniel Barenboim, sbalzato sul podio dalla catena di rinunce dei più illustri colleghi (e, con curiosa tempistica, promosso Kappelmeister a Stoccarda dalla prossima stagione). La sua conduzione non ci è parsa qual miracolo di cui si parla – il gesto è ancora rigido, le voci sacrificate al piacere del suono dell’orchestra, gli equilibri sonori in orchestra non ancora ottimali – ma il talento c’è e i risultati certamente arriveranno con l’esperienza. Certamente lo sostiene una compagine orchestrale dai solidi fondamentali musicali come la Staatskapelle di Berlino.

Tutto esaurito nella sala di Unter den Linden riportata agli antichi splendori (e con acustica di molto migliorata). Applausi festosi per tutti.

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