Le streghe di Macbeth

Palermo: nuovo allestimento firmato da Dante e Ferro

Recensione
classica
Teatro Massimo Palermo
Giuseppe Verdi
24 Gennaio 2017
La sanguinosa ascesa e caduta di Macbeth suggerisce ad Emma Dante una serie di immagini potenti, di grande impatto emotivo. Nella prima scena le streghe - che diventano il terzo protagonista accanto a Macbeth e alla Lady, come voleva Verdi - si accoppiano ad esseri diabolici in un sabba infernale. Macbeth entra in scena cavalcando - come le immagini medioevali della morte - lo scheletro di un animale in parte cavallo e in parte dinosauro. Quando concepisce l'assassinio del re, il suo dissidio interiore con la propria stessa coscienza viene esplicitato da un suo doppio, un'ombra senza volto che gli porge il pugnale. Ma forse l'immagine più potente è la comparsa in scena del cadavere del re, portato da un gruppo di donne come in una sacra rappresentazione della Passione. Si è costretti a fermarsi per ragioni di spazio e a concludere con un "eccetera", che qui è assolutamente incongruo e di cui si chiede venia. Ma alcune di queste immagini, che sono sempre molto fisiche, com'è proprio del teatro della Dante, appaiono meno felici: che i demoni partner delle streghe esibiscano ballonzolanti falli di stoffa è assolutamente ridicolo, che le streghe si sgravino in scena della creature concepiti dai loro accoppiamenti è inutilmente fastidioso e distrae totalmente dalla musica, che il bosco di Birnam sia un ciuffo di cactus è un'ironia forse involontaria e comunque fuori luogo. D'altronde in uno spettacolo di quasi tre ore c'è sempre qualcosa che non convince appieno, senza che questo ne comprometta la riuscita complessiva. Per finire va citata la perfetta realizzazione d'ogni dettaglio dello spettacolo, grazie anche al fatto che la Dante poteva contare sui suoi collaboratori di fiducia, dallo scenografo, alla costumista, agli attori e ai mimi: ne è un esempio la battaglia finale, che tante altre volte è risultata piuttosto imbarazzante. Perfette anche le luci: lame di luce caravaggesche sui personaggi, mentre il fondo del palcoscenico è sempre immerso nell'oscurità totale e insondabile, come il mondo dell'inconscio che guida le terribili azioni dei due protagonisti. La direzione di Gabriele Ferro era un tutt'uno con la messa in scena. Le melodie spezzate, le dissonanze agghiaccianti, i timbri sinistri - che talvolta i direttori tendono ad attenuare, come se istintivamente le considerassero poco verdiane - dominano fin dal preludio. Ferro valorizza al massimo questi colori foschi, che uniscono l'elemento sovrannaturale delle streghe alla psiche distorta di Macbeth e della Lady, ottenuti da Verdi con un'orchestrazione non raffinata come quella dei suoi contemporanei Berlioz e Mendelsshon ma altrettanto se non più efficace. Orchestra e coro lo seguono molto bene: una citazione speciale merita il coro "Patria oppressa", che è cantato a mezza voce dagli scozzesi affranti psicologicamente e stremati fisicamente, ed è quindi molto diverso dagli inni patriottici di altre opere del Verdi prequarantottesco. Giuseppe Altomare ha sostituito nelle prime recite l'indisposto Luca Salsi, ma - avendo partecipato dall'inizio alle prove, in quanto previsto in alcune repliche - si è perfettamente inserito nello spettacolo. La sua interpretazione è molto accurata e, se la voce non ha speciali qualità, la dizione è chiarissima e ogni parola è accentata nel modo giusto, il che per Macbeth è anche più importante della bella voce: Verdi stesso chiedeva all'interprete di recitare più che di cantare. La voce potente e timbrata è invece il punto di forza di Anna Pirozzi, che però non va a troppo a fondo nella psiche malata della Lady. Sono in linea con l'interpretazione mai gridata ed esteriore del direttore il Banco di Marko Mimica e il Malcolm di Manuel Pierattelli. Vincenzo Costanzo si comporta da tenore, d'altronde il ruolo di Macduff non richiede molto altro. In definitiva uno spettacolo di gran classe che ha meritato gli applausi tributatigli dal pubblico che esauriva il Massimo.

Note: Nuovo allestimento del Teatro Massimo di Palermo in coproduzione con Teatro Regio di Torino e Macerata Opera Festival

Interpreti: Giuseppe Altomonte/Luca Salsi, Anna Pirozzi/Virginia Tola, Marko Mimica, Vincenzo Costanzo, Manuel Pierattelli, Federica Alfano, Nicolò Ceriani, Antonio Barbagallo

Regia: Emma Dante

Scene: Carmine Maringola

Costumi: Vanessa Sannino

Corpo di Ballo: Corpo di ballo del Teatro Massimo

Coreografo: Manuela Lo Sicco

Orchestra: Orchestra del Teatro Massimo

Direttore: Gabriele Ferro

Coro: Coro del Teatro Massimo

Maestro Coro: Piero Monti

Luci: Cristian Zucaro

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Jonas  di Carissimi e Vanitas  di cinque compositori contemporanei hanno chiuso le celebrazioni per i trecentocinquanta anni dalla morte del grande maestro del Seicento

classica

Napoli: Dvorak apre il San Carlo

classica

Il primo pianista francese a vincere il Čajkovskij di Mosca conquista il pubblico milanese con un interessante quanto insolito programma.