Le sperimentazioni del Minimalist Dream House Quartet
Successo di pubblico per le sorelle Labéque, al Romaeuropa Festival insieme a Bryce Dessner e David Chalmin
Benvenuti nella dream house di Katia e Marielle Labèque, dove, insieme ai poliedrici Bryce Dessner (compositore e chitarrista dei The National) e David Chalmin (compositore, polistrumentista e tecnico del suono francese), si è celebrata una immensa festa del minimalismo in musica. Momento forte del Romaeuropa Festival 2019, in coproduzione con Accademia di Santa Cecilia e Fondazione Musica per Roma, l’evento che ha visto protagonista il celebre duo pianistico delle sorelle Labèque è stato seguito da un pubblico numeroso, accorso nella più grande delle sale di cui il Parco della Musica della Capitale dispone. Merito dell’interesse che oggi esiste nei confronti del repertorio minimalista o piuttosto del richiamo mediatico che le due interpreti francesi riescono a suscitare efficacemente? Vero è che il progetto intendeva sottolineare anche tutte le connessioni tra le tendenze della musica minimalista e il mondo del rock, ma di sicuro il concerto si è avvalso di una sottile regia che puntava all’effetto di vedere le due illustri pianiste, fortemente legate al repertorio della musica classica, muoversi sul palcoscenico e suonare i propri strumenti ammiccando ai più acclamati tastieristi che hanno fatto la storia del progressive.
Forte di un programma che, accanto ai nomi sacri di Philip Glass e Steve Reich, proponeva diverse prime esecuzioni italiane nonché una prima mondiale della versione con chitarre ed elettronica di un brano dello stesso Dessner, il concerto ha voluto costituire la testimonianza di una delle più interessanti sperimentazioni che ha coinvolto negli ultimi anni artisti di diversa estrazione musicale. Grazie a una prima parte dedicata alle composizioni del minimalismo ‘storico’ – superba l’esecuzione dei Four mouvements di Glass – e a una seconda parte dove l’ingresso dell’elettronica ha giocato un ruolo determinante nell’evidenziare le trasformazioni che questa tendenza compositiva ha assunto in anni più recenti, la serata, quasi due ore di musica, ha avuto un sicuro impatto emotivo sugli ascoltatori, calamitati dalle atmosfere ipnotiche create dai vari brani in programma. Come nel caso di Don’t fear the light, il brano di Thom Yorke (il frontman del gruppo alternative rock inglese Radiohead) che dava anche il titolo alla serata, esempio più che efficace di come sia possibile usare i canoni del minimalismo in modo più duttile e meno ripetitivo.
Eppure, al di là del successo di pubblico che gli interpreti hanno ampiamente ottenuto, viene da chiedersi quanto vi sia di nuovo in una simile sperimentazione, all’interno della quale un qualsiasi appassionato di rock progressive, sperimentale, ecc. ritroverebbe ingredienti assolutamente consueti. O forse la dream house delle sorelle Labèque è stata costruita proprio accanto a quella dei Tangerine Dream?
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