La versatilità di Bostridge
Napoli: il tenore da Cavalli a Provenzale
All’associazione Scarlatti di Napoli, l’11 aprile presso il teatro Sannazaro, siamo andati con una curiosità: sentire il tenore. Perché – Ian Bostridge – sessant’anni, voce, arguzia, dominio tecnico, tanto talento – rappresenta uno dei casi più vistosi di come sia genuino passare da Schubert a Hendel, da Britten a Provenzale. Per questa occasione il legame rinsaldato da anni tra Antonio Florio con la sua Cappella Neapolitana e L’associazione Scarlatti porta un concerto dal titolo “Tormento d’Amore”: tra XVII e XVIII, tra Napoli e Venezia, al centro il tenore barocco.
Più di un’ora di musica senza soluzione di continuità da Cavalli a Provenzale, da Caresana a Vivaldi, che in maniera efficace, narrativa, raccontano lo storico ruolo tenorile. Dove si procede sempre con i piedi ben per terra – e ci mancherebbe il contrario – in una musica di affetti e dove da una melodia di poche note, le figurazioni delle arie si allargano, si sovrappongono, entrano in tensione tra loro creando un cumulo di energia. Nel Recitativo e Aria di Alessandro: “io resto solo”; “Misero così va” da “Eliogabalo” di Francesco Cavalli, Bostridge si mostra subito scuro nel timbro, poi più brillante nell’aria di Crudarte “Soffrirà, spererà” da “Il Corispero” di Alessandro Stradella. Il tutto sfocia in chiaro-scuri in contrasto tra piano e forti in Francesco Provenzale, Aria di Armidoro “Deh rendetemi ombre care” da “La Stellidaura”, e l’Aria di Selim “Che speri mio core” da “Il Schiavo di sua moglie” a concludere parti più asciutte accompagnate solo dal continuo. Dominante Bostridge, voce squadrata, forte e policroma, di vistoso fascino, con grande scolpitura e accento nelle parole chiave. Gli intermezzi sinfonici (Sinfonia da “Argia” di Cesti, Sinfonia da “Orfeo” di Sartorio) Florio li ha concertati con tenuta di maturo stampo sinfonico, dove tutte le voci dei violini, gli imitati, uscivano guadagnando alla trama del basso continuo compattezza e spessore. Tempi sciolti, duttili. Ma senza esperimenti o eccessi. Un pizzico magari in più, di follia, ci sarebbe stato: nei ritmi puntati della Sinfonia da “Il Totila” di Legrenzi, nella sinfonia da “Partenope” (1725) di Vinci - di grande fattura compositiva - che apre squarci di sonorità galante. Conclude il concerto sempre più Vinci tra Caresana e Nicola Fago: aria di Cosroe “Gelido in ogni vena” da “Siroe”, aria di Cosroe “Se il mio paterno amore” da “Siroe”, che non sfigura davanti ad un possente Vivaldi, che con l’aria “Gelido in ogni vena” da “Il Farnace” riempie la sala di ostinati misteriosi, da brividi. E un plauso alla Cappella Neapolitana, che ha suonato benissimo. Dopo il bis, Ombra mai fu, Bostridge e Florio dissacrano l’atmosfera barocca con Lu Cardillo – in dialetto - cantato con autentico aplomb britannico.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
Un memorabile recital all’Accademia di Santa Cecilia, con Donald Sulzen al pianoforte
Successo al Teatro del Maggio per la vilipesa Mavra stravinskijana abbinata all’intramontabile Gianni Schicchi