La spregiudicata eleganza di Poppea
L’incoronazione di Poppea, con l’efficace regia di Pizzi e la lineare direzione di Greco, ha inaugurato la 40a edizione del Monteverdi Festival
Andata in scena per la prima volta al Teatro Santi Giovanni e Paolo di Venezia nella stagione di Carnevale 1643, L’incoronazione di Poppea – o meglio, la Coronazione di Poppea, come appare sullo “Scenario dell’opera” pubblicato in quella occasione in luogo del libretto – rappresenta l’estremo tributo di Monteverdi al teatro musicale – il compositore muore infatti nel novembre di quello stesso anno – ed è stata scelta per inaugurare la quarantesima edizione del Monteverdi Festival di Cremona.
Un bel traguardo, quello raggiunto dalla manifestazione cremonese che celebra meritoriamente il genio musicale che nella città lombarda ha trovato i natali il 15 maggio del 1567, offrendo in questo avvio del cartellone 2023 – grazie a un nuovo allestimento realizzato dalla Fondazione Teatro Ponchielli in coproduzione con Opera Lombardia, Teatro Verdi di Pisa e Teatro Alighieri di Ravenna – una interessante occasione di riflessione su un’opera al tempo stesso simbolica e interlocutoria.
Partiamo dalla fine, vale a dire da quel celebre duetto tra Nerone e Poppea che suggella il terzo atto e l’intero lavoro, “Pur ti miro, pur ti godo”, che nella sua essenza lirico-sentimentale avvinghiata a un ostinato tetracordo discendente pare rivelare una sorta di iato con la cifra compositiva ed estetica monteverdiana. D’accordo, sappiamo che questa pagina – come altre della partitura di quest’opera – non è attribuibile con assoluta certezza a Monteverdi, ma nell’economia complessiva di questo lavoro di teatro musicale, essa regala appunto una significativa prospettiva di scarto espressivo. Un dato che avvalora l’altrettanto significativa scelta rappresentata dal tema storico che, abbandonando le più usuali peregrinazioni mitologiche, àncora la vicenda a rimandi più strettamente politico-sociali e, se vogliamo, attuali non solo per la metà del Seicento.
Un carattere, questo, che pare non essere passato inosservato allo sguardo acuto di Pier Luigi Pizzi (regia, scene, costumi e luci) il quale, grazie alla sua lettura illuminata da un’esperienza e – soprattutto – da un’intelligenza teatrale al tempo stesso analitica ed estremamente comunicativa, ha plasmato una messa in scena – e una lettura rappresentativa – davvero efficace nel suo impianto essenziale ed elegante.
I due mondi, quello dell’imperatore Nerone da un lato e della nobile cortigiana Sabina Poppea dall’altro sono simbolicamente rappresentati da due coppie di colonne differenti, poste ai lati estremi della scena. Al centro lo spazio – astratto, lineare, ma pregnante nella sua neutralità – in cui si consuma una vicenda che, lungi dall’aver a che fare con ideali tensioni sentimentali, ci parla da un lato di libertine attrazioni passionali che si intrecciano legando su più livelli i diversi personaggi – e che emergono in maniera esplicita dal libretto di Busenello – e dall’altro della spregiudicata volontà di assurgere al rango di imperatrice che muove la stessa Poppea.
In questo quadro la protagonista emerge come vera e propria arrampicatrice sociale senza scrupoli, per la quale la relazione con Nerone rappresenta solo lo strumento per raggiungere il potere, un carattere che Roberta Mameli riesce a far emergere nel corso dei tre atti grazie a una presenza scenica efficace e a una vocalità densa ed espressiva. Al suo fianco il solido Nerone di Federico Fiorio, capace di destreggiarsi sia con le tensioni amorose ambivalenti e opposte intessute con Poppea e Ottavia, sia con l’ambigua attrazione sentimentale condivisa con Lucano, ben interpretato (assieme ai ruoli di 1° soldato e 2° famigliare) da Luigi Morassi. Josè Maria Lo Monaco ha offerto al ruolo di Ottavia una nobiltà misurata, ben tratteggiato il Seneca di Federico Domenico Eraldo Sacchi mentre funzionale è parso l’Ottone di Enrico Torre. Per il resto del cast ricordiamo il buon impegno per le parti di Drusilla (Chiara Nicastro) e della Nutrice (Danilo Pastore), oltre al terzetto di Amore, Fortuna e Virtù (rispettivamente Paola Valentina Molinari, Francesca Boncompagni e Giorgia Sorichetti).
Antonio Greco alla guida dell’Orchestra Monteverdi Festival-Cremona Antiqua ha dispiegato una lettura attenta della partitura scegliendo, come si legge nelle note del libretto di sala, «di mettere in scena il più agile manoscritto veneziano, inserendo però i ritornelli strumentali “napoletani”», ottenendo nel complesso un fluire musicale segnato da un passo fin troppo uniforme.
La serata inaugurare del Monteverdi Festival 2023 è stata infine salutata dai calorosi applausi di un pubblico attento e motivato.
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