La musica è (ancora) donna a Bergamo Jazz 2023

Successo per l’ultima edizione diretta da Maria Pia De Vito con protagoniste Cécil McLorin Salvant e Lakecia Benjamin, mentre dal ’24 arriva Joe Lovano

Cecile McLorin Salvant (foto Luciano Rossetti)
Cecile McLorin Salvant (foto Luciano Rossetti)
Recensione
jazz
Bergamo, Teatro Donizetti, Teatro Sociale e altri luoghi
Bergamo Jazz Festival 2023
23 Marzo 2023 - 26 Marzo 2023

Partiamo dai numeri, oggettivi testimoni che raccontano il successo di pubblico della 44a edizione di Bergamo Jazz, lo storico festival che, nel quarto e ultimo anno guidato dalla direzione artistica di Maria Pia De Vito, ha battuto tutti i record di affluenza. Si va dai 706 abbonamenti venduti per le tre serate al Teatro Donizetti – superando così il precedente risultato di 692 abbonamenti venduti nel 2017 – alle oltre 6.300 presenze complessive registrate nelle quattro giornate del festival (dal 23 al 26 marzo), alle quali si aggiungono i 2.200 ragazzi che hanno preso parte agli incontri didattici curati dal CdPM (Centro Didattico produzione Musica Europe).

A suggellare l’ultimo cartellone disegnato da De Vito e nell’attesa di conoscere la visione che imprimerà a questa manifestazione la nuova direzione artistica di Joe Lovano – che si presenterà al pubblico della città orobica il prossimo 24 ottobre in occasione di un concerto che lo vede affiancato da Jakob Bro – annotiamo i diversi “tutto esaurito” registrati nei vari concerti, a partire da quello di giovedì 23 al Teatro Sociale con la presentazione della Panorchestra, progetto speciale realizzato in occasione di “Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura 2023”.

Amaro Freitas (foto Giorgia Corti)
Amaro Freitas (foto Giorgia Corti)

Primo giorno

Ed è proprio con gli appuntamenti in programma giovedì 23 marzo che si è avviata la nostra presenza a Bergamo Jazz 2023, catapultati nell’universo colorato del pianista brasiliano Amaro Freitas, protagonista di un coinvolgente concerto in “solo” ospitato nella atmosfera raccolta che connota il Teatro Sant’Andrea, originale spazio posto sotto l’omonima Chiesa di via Porta Dipinta, in Città Alta. Prima tappa del nostro peregrinare musicale, in questo concerto Freitas ci ha introdotto in un mondo sonoro che si nutre di un pianismo percussivo e, specie nella prima parte dell’esibizione, sbalzato con una espressività quantomai personale e decisa, quasi materica. Una miscela che ha preso forma attraverso il suono di un pianoforte ora percosso, ora invaso nella sua cordiera di oggetti che ne ridefinivano il segno timbrico – ma in maniera comunque differente, sia in senso estetico sia espressivo, rispetto al pianoforte “preparato” – il tutto immerso in un susseguirsi di cellule ritmiche ripetute e scarti in controtempo, quasi in una sorta di rimando al carattere reiterato di certe danze rituali. Caratteri che hanno rievocato, tra l’altro, le atmosfere di brani come “Baquaqua” o “Cazumbá” dal recente album Sankofa, per poi ripiegare nella seconda parte del concerto verso un clima più disteso, dove un certo segno melodico ripetitivo e più immediato ha stemperato l’approccio pianistico di Freitas in un giuoco musicale più composto, confluito a fine concerto nel divertito passeggiare tra il pubblico del musicista impegnato a pizzicare le lamelle metalliche di una variopinta m’bira.

Seconda tappa della giornata l’appuntamento con “Scintille di Jazz”, rassegna parallela al cartellone principale curata da Tino Tracanna e giunta quest’anno alla sua sesta edizione, che vedeva protagonista sul palcoscenico del Circolino di Città Alta il personale segno sonoro espresso dal trio Dear Uncle Lennie, con l’elvetico Camille-Alban Spreng al piano elettrico, Marco Giongrandi al banjo e il francese Benjamin Sauzereau alla chitarra.

Passati poi al Teatro Sociale, abbiamo seguito il doppio concerto aperto dal trio MiXMONK, composto dal veterano Joey Baron alla batteria affiancato dai più giovani musicisti belgi Robin Verheyen al sassofono e Bram De Looze al pianoforte. Segnato dal carattere elegante espresso dai dialoghi tratteggiati con lineare equilibrio condiviso dai tre musicisti, quest’omaggio a Thelonious Monk ha offerto un piacevole susseguirsi di dialoghi, spazi solistici e significativi richiami tematici che hanno restituito a pieno l’affinità espressiva che connota questa formazione, nella quale la misura del sax di Verheyen e la puntualità del piano di De Looze hanno fatto da coerente cornice ai pregnanti interventi della batteria di Baron.

MiXMONK (foto Luciano Rossetti)
MiXMONK (foto Luciano Rossetti)

La seconda parte della serata è stata poi occupata dall’evento speciale rappresentato dal debutto della Panorchestra, ensemble inserito nel progetto “La città del jazz” che vede fianco a fianco Fondazione Teatro Donizetti, con Bergamo Jazz, e Fondazione Teatro Grande di Brescia per “Bergamo Brescia Capitale italiana della Cultura 2023”. Nata da un’idea del sassofonista Tino Tracanna – che ha introdotto e illustrato nel corso della serata tutti i brani proposti – la Panorchestra comprende alcuni solisti di varia generazione attivi tra le città di Milano, Bergamo e Brescia, e precisamente i sassofonisti Massimiliano Milesi e Gianluca Zanello, il clarinettista Federico Calcagno, il trombettista Paolo Malacarne, il trombonista Andrea Andreoli, il contrabbassista Giulio Corini e il batterista Filippo Sala. Alla compagine si sono aggiunti per l’occasione Alfonso Santimone (pianoforte, tastiere e arrangiamenti) e il trombettista americano Jonathan Finlayson in qualità di ospite speciale. Con l’eccezione di “Forlorn”, significativo omaggio a Joe Zawinul, i brani proposti – firmati da alcuni componenti della formazione – rappresentavano originali tratteggi che mescolavano ideali rimandi biografici a stilemi stilistici variegati, restituiti in partitura con gusto accurato. Composizioni come, tra le altre, l’iniziale “Injera Calling” di Milesi, “Refined Strut” di Finlayson o “Avidi Bastardi” di Tracanna hanno trovato nell’impasto strumentale impegnato una risposta partecipe e sostanzialmente affiatata, attraversata da alcune oasi decisamente efficaci e convincenti, dove la qualità interpretativa emergeva grazie a più lineari equilibri tra le sortite solistiche e l’amalgama strumentale di assieme.

David Linx (foto Fabio Gamba)
David Linx - Leonardo Montana (foto Fabio Gamba)

Secondo giorno

La nostra seconda giornata a Bergamo Jazz 2023 si è aperta, venerdì 24 marzo, con il concerto del cantante fiammingo David Linx affiancato dal pianista di origine sudamericana Leonardo Montana, impegnati nella perlustrazione di un repertorio sofisticato, ispirato al tratto elegante che contraddistingue la raccolta di duetti racchiusa nell’album Be My Guest. The Duos Project che David Linx ha realizzato qualche anno fa coinvolgendo artisti anche molto differenti tra loro. Una varietà espressiva che si è riverberata anche sul segno stilistico impresso alle interpretazioni proposte in questa occasione, dove la voce gestita con un virtuosismo misurato dal cantante di Bruxelles è stata assecondata dal pianismo morbido e discreto di Montana.

Hack Out! (foto Giorgia Corti)
Hack Out! (foto Giorgia Corti)

Protagonista del secondo appuntamento di “Scintille di Jazz”, ospitato presso la Sala della Musica “Tremaglia” del Teatro Donizetti, abbiamo poi seguito la formazione Hack Out!, con Manuel Caliumi al sax alto, Luca Zennaro alla chitarra e Riccardo Cocetti alla batteria impegnati ad esprimere un’intesa espressiva fresca e partecipata, solida nelle individualità strumentali e fluida negli scarti collettivi più dinamici.

Paolo Fresu - Rita Marcotulli (foto Luciano Rossetti)
Paolo Fresu - Rita Marcotulli (foto Luciano Rossetti)

La serata sul palcoscenico principale del Donizetti è stata poi aperta dal duo formato da Paolo Fresu e Rita Marcotulli, con il trombettista sardo già direttore artistico di Bergamo Jazz dal 2009 al 2011 mentre la pianista romana alla sua prima presenza a questa manifestazione. Un dialogo levigato quello intessuto dai due artisti, plasmato da un lato sull’alternarsi del timbro ora morbido ora più incisivo rispettivamente del flicorno e della tromba di Fresu, e dall’altro dal pianismo vario e personale della Marcotulli, il tutto attraversato di quando in quando da striature elettroniche che arricchivano le atmosfere evocate dai diversi brani. Composizioni come l’iniziale “O que tinha de ser” di Antonio Carlos Jobim, omaggi alla tradizione napoletana di ieri e oggi con “Non ti scordar di me” di Ernesto De Curtis e “Terra mia” di Pino Daniele, fino alla celebre melodia della “Canzone dell’amore perduto” di Fabrizio De André, la quale per la tromba di Fresu può rappresentare un doppio omaggio, essendo notoriamente plasmata sul tema dell’Adagio del Concerto per tromba in re maggiore di Telemann.

Cecile McLorin Salvant (foto Luciano Rossetti)
Cecile McLorin Salvant (foto Luciano Rossetti)

Di segno decisamente differente la seconda parte della serata, che ha visto protagonista la voce versatile ed espressiva di Cécile McLorin Salvant, tra le nuove protagoniste del canto jazz e già vincitrice di tre Grammy Awards. Accompagnata da un’affiatata formazione strumentale che comprendeva Glenn Zaleski al pianoforte, Marvin Sewell alla chitarra, Yasushi Nakamura al contrabbasso e Keita Ogawa alle percussioni, la cantante – dopo una piccola incertezza iniziale dovuta un’imperfezione tecnica subito risolta – ha dispiegato una consapevolezza interpretativa solida e personale, offrendo il suo timbro vocale duttile, denso e, al tempo stesso, agile a un repertorio variegato, le cui differenti matrici stilistiche si possono rintracciare nel recente album Ghost Song. Come nel disco si ritrovano brani originali uniti a quelli di autori come Kate Bush, Gregory Porter e Sting, la cantante anche in questa occasione ha attraversato il primo Novecento di Kurt Weill con una lettura di “Pirate Jenny” – song tratta dall’Opera da tre soldi su libretto di Bertold Brecht – segnata dalla decisa impronta teatrale, per poi passare a una propria composizione come “Thunderclouds” – screziata di profumi folk – o ancora arrivando a evocare ideali atmosfere di Broadway con il brano “I'm All Smiles”. Un caleidoscopio stilistico originale ed efficace, cresciuto nel corso della serata fino a trascinanti bis che hanno visto la cantate sciogliersi in un entusiasmo davvero contagioso.

Cecile McLorin Salvant (foto Fabio Gamba)
Cecile McLorin Salvant (foto Fabio Gamba)

Terzo giorno

Risaliti in Città Alta e ripreso posto nella raccolta platea del Teatro Sant’Andrea, il terzo giorno – sabato 25 marzo – si è aperto con un altro “solo” di pianoforte che vedeva protagonista Nik Bärtsch, pianista svizzero che ha proposto un percorso d’ascolto di segno molto differente rispetto ad Amaro Freitas. Anche in questo caso il pianoforte è stato esplorato nelle sue varie potenzialità timbriche, ma la sollecitazione delle corde o la raffinata ricerca timbrico-ritmico-armonica indagata da Bärtsch ha restituito un flusso musicale che andava nella direzione di una riflessione sonora profonda e, se vogliamo, verticale, amplificata dai moduli ritmici che questo interprete innesta nel flusso musicale come colonne portanti nelle sue composizioni. A differenza dell’impressione interlocutoria che ci aveva lasciato l’ascolto dei disco Entendre del 2021, nella dimensione dal vivo la musica di questo artista colpisce per il rigore e l’intensità dell’esecuzione, che vede lo stesso musicista intento a ricercare una concentrazione quasi meditativa, capace di dispiegarsi in sequenze sonore il cui andamento circolare e reiterato genera momenti di pura intensità espressiva.

Nik Bärtsch (foto Fabio Gamba)
Nik Bärtsch (foto Fabio Gamba)

Siamo poi ritornati nella Sala della Musica del Donizetti per seguire il bell’incontro dedicato a Roberto Masotti, il fotografo della musica scomparso nell’aprile 2022. A ricordare il suo legame con il jazz e con il Festival di Bergamo sono stati chiamati il giornalista Carlo Maria Cella e il musicologo Franco Masotti, fratello di Roberto, accompagnati da Roberto Valentino – responsabile dell’ufficio stampa e anima tra le più attive di Bergamo jazz – attori di una chiacchierata che si è dispiegata tra racconti e immagini che hanno rievocato, anche grazie la proiezione di fotografie divenute emblematiche, i rapporti che Roberto Masotti ha coltivato con artisti come Keith Jarrett o John Cage, o ancora gli incontri, tra i tantissimi, con formazioni quali l’Art Ensemble of Chicago. Un momento di condivisione che ha compreso anche un pensiero rivolto alla figura di Franco Fayenz – tra i padri nobili della critica jazz italiana scomparso lo scorso mese di ottobre – e che ha visto la partecipazione di diverse persone – amici, colleghi, estimatori, tutti testimoni della sostanza umana oltre che dello spessore artistico di Roberto – che si sono idealmente raccolte attorno al “tavolino”, centro simbolico del libro fotografico You Tourned the Tables on Me, uno dei lavori editoriali che, assieme a Jazz Area, testimonia almeno in parte il grande lascito di questo artista della fotografia dedicata alla musica.

You turned the jazz on me - Ricordando Roberto Masotti (foto Fabio Gamba)
You turned the jazz on me - Ricordando Roberto Masotti (foto Fabio Gamba)

Atto finale della nostra permanenza nella città orobica – registrando tra l’altro il battesimo dell’inedita formazione denominata ONJGT Synthesis, estrapolata dall’Orchestra Nazionale Jazz Giovani Talenti diretta da Paolo Damiani con la presenza, tra gli altri, di alcune musiciste ormai conosciute quali la cantante Camilla Battaglia, la violinista Anais Drago, la contrabbassista Federica Michisanti e la batterista bergamasca Francesca Remigi – il doppio concerto serale che ha visto protagonisti prima Lakecia Benjamin, impegnata a presentare il suo recente album Phoenix, poi il progetto Turiya: Honoring Alice Coltrane dedicato da Hamid Drake a una delle figure simbolo di un jazz di matrice spirituale e senza confini.

Lakecia Benjamin (foto Fabio Gamba)
Lakecia Benjamin (foto Fabio Gamba)

Appare significativo, in questo contesto, che ci sia capitato di seguire la stessa Lakecia Benjamin intenta a presentare qualche tempo fa un progetto dedicato proprio ai coniugi Coltrane, una contingenza che ci ha permesso di ritrovare qui al fianco della talentuosa sassofonista due dei tre musicisti che l’avevano affiancata in quella occasione, vale a dire Ivan Taylor al contrabbasso e E.J. Strickland alla batteria, completati qui da Zaccai Curtis al pianoforte, che ha sostituito Taber Gable presente nel citato concerto del 2021. A distanza di due anni possiamo confermare l’ottima impressione registrata nei confronti di un’artista capace da un lato di gestire il proprio strumento con consapevole personalità e, dall’altro lato, di presentarsi al pubblico in maniera diretta ed estremamente comunicativa. Una caratteristica, questa, che ci piace registrare accresciuta e maturata, anche grazie a una proposta musicale che, in questa occasione, ha distribuito una poderosa carica di energia, spaziando da coinvolgenti brani originali quali gli iniziali “Trane” e “Amerikkan Skin”, passando per una personalissima versione del tradizionale “Amazing Grace”, per arrivare all’andamento dolcemente danzante dell’emblematica melodia di “My favorite things”.

Lakecia Benjamin (foto Fabio Gamba)
Lakecia Benjamin (foto Fabio Gamba)

Raccolto il testimone dell’omaggio coltraniano, Hamid Drake ha quindi proposto un intenso viaggio musicale in bilico tra la personale testimonianza e il rito musicale condiviso con una variegata compagine di musicisti che comprendeva Shabaka Hutchings (sax tenore, clarinetto e flauti africani), Jan Bang (elettronica), Jamie Saft (pianoforte e tastiere), Pasquale Mirra (vibrafono), Joshua Abrams (contrabbasso), oltre allo stesso Hamid Drake alla batteria, percussioni e voce. Completava la compagine strumentale la danzatrice Ngoho Ange, impegnata anche nella recitazione di alcuni testi. Tra i diversi brani, a lungo elaborati tra i dialoghi rimbalzati tra i vari musicisti impegnati, alcuni ci sono rimasti nella memoria per intensità e varietà espressiva come, per esempio, “Dreaming of Turiya” di Drake, oppure “Ptah the El Daoud” e “The Sun” della stessa Alice Coltrane.

Hamid Drake (foto Luciano Rossetti)
Hamid Drake (foto Luciano Rossetti)

Quarto giorno

Essendo ripartiti da Bergamo nella mattinata di domenica 26 marzo, registriamo per la cronaca i concerti dell'ultimo giorno di festival che si sono tenuti, rispettivamente, in Sala Piatti con Django Bates, al Teatro Sociale con il trio formato dal violoncellista Ernst Reijseger, dal pianista Harmen Fraanje e dal vocalist e polistrumentista Mola Sylla, per finire con il doppio concerto finale al Teatro Donizetti con il trio del fisarmonicista francese Richard Galliano e quello del bassista e vocalist camerunense Richard Bona.

Sulla scia degli applausi del pubblico che hanno accompagnato sostanzialmente tutti i concerti che abbiamo seguito, annotiamo infine i prossimi appuntamenti di Bergamo Jazz Festival, che prevedono tre date estive al Lazzaretto con Snarky Puppy, Stefano Bollani, Pat Metheny – 10, 14 e 19 luglio – il già ricordato concerto del nuovo direttore artistico Joe Lovano nel 24 ottobre, arrivando alla 45a edizione del festival le cui date sono già previste dal 21 al 24 marzo 2024. Iniziamo a segnare in agenda.

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