La Deutsche Oper fra Schreker e Wagner
Il teatro lirico berlinese chiude il ciclo di rappresentazione di Der Schatzgräber di Franz Schreker e apre quello di Die Meistersinger
Che i teatri tedeschi riuscissero a riacquistare piena operatività dopo la lunga parentesi pandemica non c’erano molti dubbi, nonostante qualche voce allarmistica. Che potessero tonare alla piena capacità e offrire al pubblico due titoli complessi da pieno impiego delle masse artistiche in due giorni consecutivi, sono segno di una capacità tecnica che solo pochi teatri possono vantare. Fra questi c’è sicuramente la Deutsche Oper di Berlino, che mentre chiude il ciclo di repliche del raro Der Schatzgräber (Il cercatore di tesori) di Franz Schreker inizia quello dei Meistersinger von Nürnberg di Wagner, ultima nuova produzione del teatro prima della pausa estiva.
I gioielli della regina e l’ascensore sociale
Una regina che soffre di un male ignoto che cresce quanto più spariscono i suoi gioielli. Una donna, Els, in combutta con l’assassino dei suoi pretendenti, Albi, per sottrarre alla regina i gioielli. Un menestrello, Elis, che pretende di essere in grado di ritrovare i gioielli scomparsi grazie al suo liuto. E un giullare che consiglia al suo re di chiedere a Elis un aiuto per ritrovare i gioielli e guarire la regina e in cambio chiede una donna per sé. Sono i personaggi principali di Der Schatzgräber, l’opera di Franz Schreker del 1920, terza fra le sue più note dopo Der ferne Klang (1912) e Die Gezeichneten (1918) e relativamente meno eseguita del suo pochissimo eseguito catalogo.
Per questo nuovo allestimento coprodotto con l’Opéra national du Rhin di Strasburgo, dove lo spettacolo sarà ripreso nel prossimo autunno, torna alla Deutsche Oper il regista Christof Loy, che con l’opera di Schreker completa una trilogia inaugurata qualche stagione fa nel teatro berlinese con Das Wunder der Heliane di Korngold del 2018 e proseguita con Francesca da Rimini di Zandonai in piena pandemia a porte chiuse ed entrambe annunciate di ritorno in scena nella prossima stagione. La favola dal significato piuttosto oscuro e grondante di rimandi a un immaginario tipico dell’universo schrekeriano e, più in generale, della Germania fra le due guerre, è trasformata da Loy in un apologo sull’impossibile ascesa sociale di Els. La donna è qui trasformata in cameriera nell’ambiente unico di un grande salone con caminetto e dalle funebri pareti di marmo nero che, come in una sacra rappresentazione medioevale, fa da teatro alla vicenda che si svolge davanti a una folla di cortigiani e servi. Non è ammesso nessun riscatto in questa favola nera in cui l’amore è impossibile per la dannata Els, la cui sola salvezza è darsi a un uomo che non ama, il giullare, che la sceglie salvandola dalla condanna a morte, rinunciando al vero amore per Elis, al quale lei stessa salva la vita consegnandogli per amore i gioielli sottratti alla regina.
Confezionato con estrema eleganza grazie alla scenografia di Johannes Leiacker e ai costumi di Barbara Drosihn, in questo Schatzgräber Loy ritrova l’ispirazione e la forza dell’Heliane giocando una chiave simile e avendo come punto di forza una formidabile direzione attoriale che riguarda i protagonisti della vicenda ma anche la pletora di figure minori che assiste e partecipa alla vicenda nel lugubre salone.
Alla totale riuscita di questa produzione un ruolo fondamentale lo apporta l’esecuzione musicale guidata dal direttore Marc Albrecht, da sempre in grande sintonia culturale con il mondo di Schreker e nuovamente sul podio per questa partitura a una decina di anni dalla felice produzione di Amsterdam (ma il suo primo contatto con questo Schreker risale al 1989 ad Amburgo da assistente del direttore Gerd Albrecht). Un’esperienza che si traduce in una guida solidissima e un gusto musicale infallibile della perfetta macchina sonora dell’Orchestra della Deutsche Oper fra le sensuali e contorte volute dell’opulenta partitura schrekeriana ricchissima di reminescenze wagneriane. Molto riuscito anche il suo lavoro con le voci, risultato non scontato visti i volumi sonori dell’orchestra schrekeriana, ma certamente aiutato da due protagonisti eccellenti e non solo per resistenza vocale come Elisabet Strid (Els) e Daniel Johansson (Elis), ai quali si affianca Michael Laurenz, un toccante giullare di dolente umanità. Non meno riuscite le prove degli altri interpreti, tutti molto incisivi anche nei ruoli minori. Fra questi vanno certamente citati Thomas Johannes Mayer, un balivo particolarmente truce, Tuomas Pursio, un re in perfetta sintonia con la dissolutezza morale della sua corte, e ancora Patrick Cook, un Albi mostruoso ma riscattato dalla purezza del sentimento verso Els, Clemens Bieber, un cancelliere particolarmente viscido, e Doke Pauwels, una regina muta e diafana ma di fisicità marcante. Da elogiare anche il coro della Deutsche Oper, preparato in modo eccellente da Jeremy Bines, per gli interventi non lunghi ma di elevatissima qualità musicale.
A scuola di canto da Wagner (in crocs)
I maesti cantori non sono forse dei maestri? E se sono dei maestri non esercitano in una scuola? L’idea è semplice alla base del nuovo allestimento firmato dalla coppia Jossi Wieler e Sergio Morabito con la partecipazione di Anna Viebrock, leggendaria (e geniale) scenografa di Christoph Marthaler, che per questi nuovi Meistersinger von Nürnberg disegna uno spazio intonato all’idea di base che si rimodula nei diversi ambienti tipici di un conservatorio, teatrino compreso nell’ultimo atto. Va riconosciuto un certo spirito e una mano leggera nel mettere in scena la vicenda con i toni della commedia, non estranei a quella che è forse l’opera più concettuale di Wagner e dunque spesso trattata con una certa pedanteria accademica.
Dunque, in questa vivace scuola di musica guidata da un severissimo direttore, Veit Pogner, acconciato come il nume tutelare Richard Wagner, si canta molto ma si copula anche di più. Fra i compassatissimi docenti – il più compassato e ligio alle regole è ovviamente l’ingessatissimo Sixtus Beckmesser – c’è quello decisamente anticonformista Hans Sachs, così anticonformista da girare a piedi nudi o al massimo in crocs, i noti zoccoli di gomma colorata, dei quali dota la popolazione di docenti e studenti (tranne Walther). Funziona tutto, anche in una certa vivacità ormonale, che esplode soprattutto nel secondo atto e interessa gli studenti ma anche Eva, che comunque flirta con Walther nei corridoi della scuola fin dall’inizio e scambia con Sachs giochi non proprio innocenti per spingerlo ad aiutare l’inesperto cantore che vuole sposare.
Le cose funzionano meno nel finale del secondo atto, decisamente pasticciato, e anche meno nei momenti celebrativi del terzo, che hanno reso specialmente quest’opera uno strumento di propaganda negli anni più oscuri della storia tedesca (ma, al di là di tutto, è lecito censurare i versi più disturbanti nel monologo di Sachs oggi?). Nella processione di San Giovanni il disegno registico si fa più confuso, anche se è chiara la volontà di andare contro il folklore medievalista e soprattutto contro il nazionalismo estetico wagneriano, smontando il dispositivo scenico prescritto da Wagner. Non funziona la soluzione l’idea del saggio scolastico che va a rotoli quasi come in un incubo. Un incubo anche per il direttore Markus Stenz, che fatica non poco dalla buca a tenere tutti insieme e non riesce a evitare qualche deragliamento del coro e del gruppo degli ottoni sistemati in una nicchia laterale in alto rispetto al palcoscenico.
Inevitabili le vivaci contestazioni all’indirizzo del team registico in primo luogo ma anche, un po’ ingenerosamente, del direttore Stenz, subentrato a prove avanzate a Donald Runnicles ritiratosi per motivi di salute. Nonostante le difficoltà, Stenz ha comunque assicurato un’esecuzione della fluviale partitura wagneriana di alta professionalità alla testa della formidabile Orchestra della Detusche Oper, sebbene non da registrare negli annali delle interpretazioni wagneriane per una scelta dei tempi talora troppo spediti e con qualche problema nel raccordo con il palcoscenico. Più efficaci risultano i passaggi più intimisti, mentre le scene di massa scontano forse un deficit di prove e, come detto, un disegno registico non troppo attento alle ragioni della musica.
Il cast vocale, comunque, contava su voci non classificabili come wagnerane secondo i canoni classici, con le eccezioni del roccioso Pogner di Albert Pesendorfer e del Walther di Klaus Florian Vogt coerente con la sua personale linea interpretativa di sempre. Tutti gli altri aderiscono perfettamente ai rispettivi ruoli e alla leggerezza del disegno registico a partire da Johan Reuter, un Hans Sachs per niente borioso che sa anche sorridere delle follie del mondo, e Heidi Stober, che di Eva mette in rilevo la giovanile freschezza. Sulla stessa linea Ya-Chung Huang, che è un David perfettamente riuscito sia sul piano vocale e credibile nel ritratto del giovane studente, così come Philipp Jekal, che è un misurato Sixtus Beckmesser ma non sprovvisto della consueta comicità. Ben assortito l’ensemble dei “docenti” cantori che sono Gideon Poppe (Kunz Vogelgesang), Simon Pauly (Konrad Nachtigall), Thomas Lehman (Fritz Kothner), Jörg Scherne (Balthasar Zorn), Clemens Bieber (Ulrich Eißlinger), Burkhard Ulrich (Augustin Moser), Stephen Bronk (Hermann Ortel), Tobias Kehrer (Hans Schwarz) e Byung Gil Kim (Hans Foltz). Molto bene anche Annika Schlicht nei panni di Magdalena, la maestra del coro, così come gli allievi cantori di Agata Kornaga, Constanze Jader, Yehui Jeong, Freya Müller, Natalie Jurk, Oleksandra Diachenko, Michael Kim, Chunho You, Adrian Domarecki, Pablo Helmbold, Kyoungloul Kim, Sotiris Charalampous, Simon Grindberg molto partecipi anche sul piano scenico. Presenza prestigiosa ma solo in voce registrata quella del basso Günther Groissböck come guardiano notturno.
Nonostante qualche inciampo a causa, come detto, della non facile disposizione scenica, di grande spessore la prova del Coro della Deutsche Oper.
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