La clemenza di Scipione
Al Teatro Malibran di Venezia in scena Scipione nelle Spagne di Antonio Caldara per il Progetto Opera Giovani
Non stupisce troppo la popolarità di Publio Cornelio Scipione nella Vienna di Carlo d’Asburgo, ultimo discendente maschio di Carlo V e babbo della futura imperatrice Maria Teresa. Prima di succedere al fratello Giuseppe I al trono imperiale nel 1711, una decina di anni prima il Nostro si era autoproclamato re di Spagna causando un conflitto di successione con la Francia di Luigi XIV. Conflitto risolto con la rinuncia a quel trono conteso per quello imperiale di Vienna. Atto di realismo politico più che di generosità ma, si sa, è un vezzo diffuso fra i potenti quello di essere ricordati per la clemenza. Meno nota di quella metastasiana di Tito, anche la clemenza di Publio Cornelio Scipione godette di una certa fama, legata a un episodio di cui il generale romano fu protagonista durante l’assedio di Cartagena, importante roccaforte cartaginese nella penisola iberica. Conquistata la città, i soldati romani offrirono al proprio generale una bellissima ragazza catturata durante l’assedio. Ringraziandoli, Scipione rifiutò quel dono riconsegnando la fanciulla al padre, che, in segno di riconoscenza consegnò ricchi doni al generale romano. Doni che Scipione girò ad Allucio, giovane capo celtibero e promesso sposo della ragazza.
A quella nota vicenda si ispirò Apostolo Zeno per il libretto di Scipione nelle Spagne, dramma per musica scritto nel 1710 per Barcellona, regnante Carlo d’Asburgo, probabilmente con le musiche di Antonio Caldara, del quale invece è certa la mano per la versione andata in scena al teatro dell’Hofburg viennese nel 1722, quella scelta cioè per il Progetto Opera Giovani nato anni fa dalla collaborazione fra Fondazione del Teatro La Fenice e Conservatorio “Benedetto Marcello” di Venezia. Complemento alle due recite in cartellone, il convegno “Tu, degli austriaci eroi germe sublime” esamina il ruolo di Apostolo Zeno alla corte degli Asburgo e fa luce su questo lavoro a lungo dimenticato.
Rispetto all’episodio tramandato da Polibio, l’intreccio si complica non poco: protagonista resta Scipione e la giovane donna a lui fatta dono è Sofonisba, figlia di Magone, capitano dei Cartaginesi nelle Spagne. Promessa al principe Luceio (ossia Allucio), la donna è però anche contesa da Cardenio, principe degli Illergeti. La sorella di questi, Elvira, viene fatta ostaggio da Magone e, a sua volta attratta da Luceio, diventa oggetto di attenzioni, non ricambiate, del tribuno militare romano Lucio Marzio, da cui è fatta prigioniera. All’inizio della vicenda, Luceio è creduto morto in battaglia ma, in realtà vivo, si aggira per Cartagine sotto le mentite spoglie del soldato semplice Tersandro per ritrovare l’amata Sofonisba, che salva da un tentativo di suicidio guadagnandosi l’amicizia di Scipione che nutre interesse per quella donna. Sottratta Elvira alle pressanti profferte di Marzio, Scipione provoca la vendetta di quest’ultimo che tenta un colpo di mano a capo delle truppe romane, sventato da Luceio, che nel frattempo ha rivelato la sua vera identità per salvare l’onore dell’amata. Scipione rinuncia a Sofonisba in segno di riconoscenza a Luceio e la sua autorità è ristabilita fra le sue truppe. Nel finale, tutti si uniscono in un coro per celebrare la generosità di Scipione e le sospirate nozze fra Sofonisba e Luceio.
La versione andata in scena al Teatro Malibran condensa i tre lunghi atti dell’originale in un atto unico di una novantina di minuti. Secondo Francesco Bellotto, regista dello spettacolo, più che di un’opera si dovrebbe parlare di una cantata celebrativa, che prevede una serie di gare eroiche attraverso lunghi dialoghi fra pochi gruppi di personaggi. Nella riduzione drammaturgica operata dallo stesso Bellotto, i recitativi vengono pesantemente tagliati e in buona parte trasformati in un racconto affidato alla narrazione in versi dell’attore Marco Ferraro, che la locandina indica come “direttore della propaganda imperiale”, operazione che rende palese l’intenzione politico-encomiastica del lavoro di Zeno e Caldara, nel complesso piuttosto avaro di momenti spettacolari. La convenzionalità drammaturgica, che poi è quella tipica della produzione dell’epoca, combinata da una certa meccanicità nella successione degli eventi è incarnata nell’idea registica, dal sapore vagamente didascalico, di mutare i personaggi in marionette. Il semplice dispositivo scenico approntato da Alessia Colosso è appunto un teatrino settecentesco arricchito da qualche elemento mobile sul quale calano i fili che muovono i protagonisti della storia, vestiti con i fantasiosi costumi disegnati da Carlos Tieppo, che combinano romanità e spiritose variazioni ispaniche.
Alla musica, come sempre in questo progetto, pensa Francesco Erle, direttore al cembalo ma soprattutto eccellente preparatore dell’Orchestra barocca del Conservatorio “Benedetto Marcello”, fatta da studenti, qualche docente e l’esperto Enrico Parizzi è la spalla. Se i fiati brillano già dalla sinfonia iniziale, per gli archi occorre un po’ di rodaggio prima che il suono orchestrale acquisti densità di suono e spigliatezza. Tutti asiatici gli interpreti vocali, in gran parte vincitori delle selezioni per il Master di produzione teatrale del Conservatorio veneziano. Una certa disomogeneità è inevitabile in una produzione appena un gradino sopra al saggio di scuola. Alcuni interpreti si impongono comunque per solide qualità musicali, come Ying Quan che è un’Elvira dalle doti vocali brillanti e autorevole nella gemma della partitura “Fremo, pavento, agghiaccio” rea anche più preziosa dall’ottimo accompagnamento del violoncello di Federico Toffano. Prova superata anche per Yihao Duan, che è uno Scipione di intensa espressività, per Tianhong Xi, Cardenio di carattere anche se poco controllato sulla scena, e per Ziyan Meng, un Quinto Trebellio un po’ invisibile fino alla marzialissima “Di timpani e trombe il cielo rimbombe” eseguita con un certo vigore. Poco più che corrette ma assai più deboli le prove di Anqi Huang, un Luceio poco sonoro e poco espressivo, Miao Tang, una Sofonisba di scarsa presenza scenica, e Rundong Liu, Marzio poco incisivo.
Calda accoglienza alla matinée destinata alle scuole, prima dell’unica replica aperta al pubblico.
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