Kayhan Kalhor e Behnam Samani, suonare l’istante

Alla Fondazione Cini di Venezia ripartono i concerti, con il duo di musica classica persiana Kayhan Kalhor e Behnam Samani

Foto di Ashkan Rahbarian Kayhan Kalhor e Behnam Samani
Foto di Ashkan Rahbarian
Recensione
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Fondazione Cini, Venezia
Kayhan Kalhor & Behnam Samani
14 Luglio 2021

Il 14 luglio, all’Isola di San Giorgio a Venezia, l’Istituto Interculturale di Studi Musicali Comparati della Fondazione Giorgio Cini ha ripreso nel migliore dei modi le attività dal vivo con un concerto di musica classica persiana che ha visto protagonisti Kayhan Kalhor e Behnam Samani. Il primo è divenuto in tutto il mondo l’ambasciatore della viella kamancheh che suona sia con l’arco, sia con diverse tecniche percussive e di pizzicato. Behnam Samani è fra i percussionisti più richiesti di musica d’arte persiana, versatile e sempre superlativo con il tamburo a calice tombak (o zarb).

Kayhan Kalhor è a suo agio in ogni contesto, da quelli più intime che permettono un dialogo a due o in trio ad ensemble più allargati e con solisti di primo piano come avviene con i gruppi Dastan e Masters of Persian Music e, a livello internazionale, con il gruppo, ideato da Yo-Yo Ma, Silk Road Project. Le sue collaborazioni vanno da Ghazal, il dialogo persiano-indiano che coinvolge il maestro Shujaat Husain Khan, al Kronos Quartet, agli olandesi del Rembrandt Trio. In Iran è stato chiamato a comporre e suonare con i più apprezzati cantanti, personalità del calibro di Shahram Nazeri e Mohammad Reza Shajarian. Proprio in omaggio a quest’ultimo, morto ad ottobre 2020, Kayhan Kalhor ha suonato e registrato il 27 e 28 marzo nel palazzo Mahinestan (edificio che rimanda alla dinastia Qajar) a Kashan, il concerto “Lost In The Desert Sky”, accompagnato dal Kayhan Kalhor Ensemble con Hadi Hosseini al canto.

L’arte del duo è particolarmente cara a Kayhan Kalhor, protagonista a gennaio con Kiya Tabassian di un concerto nella Pierre Boulez Saal di Berlino. In duo con Behnam Samani l’avevamo ascoltato che al teatro Candiani di Mestre aveva rapito gli ascoltatori a febbraio 2020.

Il 14 luglio sono stati introdotti al pubblico da Giovanni Giuriati che ha preannunciato nuovi concerti dal vivo. Questo nuovo appuntamento veneziano è stato organizzato in collaborazione con la Casa della Cultura Iraniana di Venezia e con il Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali dell’Università Ca’ Foscari Venezia, occasione per Giovanni De Zorzi per contestualizzare il concerto attraverso un incontro-intervista in inglese, il 13 luglio a San Giorgio, che ha permesso di approfondire diversi aspetti dell’estetica e delle pratiche musicali di Kayhan Kalhor.

La conversazione, soprattutto a partire dal ventesimo minuto (20:14) è entrata volentieri anche in una dimensione filosofica (“senza la filosofia la vita non significa nulla”) ed aiuta a comprendere meglio tre concetti: improvvisazione, hal, waqt.

Kayhan Kalhor non riferisce il proprio approccio all’improvvisazione all’idea di “composizione istantanea”. Preferisce guardare all’improvvisazione come un “atto”, il lavoro di un artista esposto direttamente a chi ascolta senza alcuna possibilità di rifinirlo o correggerlo. Un atto che tende ad essere accompagnato da una certa dose di timore: di non poter tornare indietro, un sentimento che rende ben diverso quel momento da una seduta di registrazione o dal dipingere un quadro. In questo modo, il fatto che l’espressività dei musicisti vada per il verso giusto dipende anche dal luogo in cui viene suonata la musica e dall’atteggiamento di chi ascolta.

Quando i diversi fattori trovano una positiva convergenza questo “atto” diventa il miglio modo di esprimere musica. Questo “atto” richiama la centralità dello stato d’animo del musicista, il suo “hal”, esemplificato nella musica occidentale dall’atteggiamento di interpreti come Glenn Gould nel suo rapporto con Bach, la capacità di far ascoltare l’essenza di un genere musicale trasformando la qualità dell’ascolto e della psicologia dell’ascoltatore. Chi ama la musica persiana distingue musicisti pur dotati tecnicamente, da musicisti dotati di “hal”, una qualità che può emergere anche in contesti diversi, dall’improvvisazione jazz alla conduzione sinfonica.

La terza componente chiave per comprendere la musica proposta da Kalhor è “waqt”, il tempo: si riferisce al momento della giornata in cui si sta suonando, così come alla dimensione temporale che da forma al brano musicale. Non si tratta di un concetto che investe solo l’ambito musicale: è una cornice attraverso cui è possibile leggere ogni forma d’arte, a cominciare dall’attenzione che va prestata al legame fra la metrica poetica ed il luogo in cui viene recitata. “Waqt” riguarda il far sì che l’atto artistico sia in profonda relazione con il momento in cui avviene ed i sentimenti che attraversano quella specifica fase temporale: “va mano nella mano con l’improvvisazione”.

Questi elementi sono sapientemente miscelati da Kayhan Kalhor e Behnam Samani nei concerti dal vivo. L’intesa che hanno sviluppato nel corso di una lunga collaborazione permette loro di salire sul palco senza aver alcuna indicazione comune previa quanto a repertorio e a misure ritmiche. Le linee melodiche suonate da Kayhan Kalhor hanno come riferimento il radif persiano, la sistematizzazione del repertorio colto proposta quasi duecento anni fa da Ali Akbar Frahani.

A differenza della maggior parte dei concerti in cui vengono proposti i modi del radif, Kayhan Kalhor e Behnam Samani non scelgono di suonare seguendo figure e cicli ritmici prestabiliti, ma lasciano alla loro intesa e al dialogo improvvisativo l’evolversi in chiave ritmica delle melodie proposte dal kamancheh.

Colpisce la rapidità telepatica con cui Behnam Samani sa di volta in volta inserirsi nel discorso musicale del suo interlocutore sostenendolo, ma anche sviluppandolo ed offrendo spunti contrappuntistici, sia all’interno del proprio strumento (facendo ricorso a tocchi e timbri diversi), sia nel dialogo con il kamancheh.

Dal canto suo, Kayhan Kalhor sa far parlare il suo strumento con una pluralità di lingue, in particolare recuperando accenti caratteristici delle musiche popolari, lavorando con le dita della mano destra direttamente sulle corde e sulla cassa e il manico dello strumento che sembra, a volte, emettere canti di animali o veicolare l’eco di fenomeni naturali. Allo stesso tempo, Kayhan Kalhor mostra anche una straordinaria abilità nel ricondurre ogni brano al lessico del radif, mettendo in tensione elementi colti ed elementi popolari, portandoli ad un equilibrio generativo, pur senza remore nel lasciar andare un elemento o una frase quando l’energia che caratterizzava il suo ciclo tende ad esaurirsi. La bellezza del suo lavoro non sta tanto nella singola frase, ma, piuttosto, nella capacità di intrecciare frasi anche molto lunghe a frasi che contrastano per la loro brevità. Aver ampliato le frasi, oggi davvero molto ampie, gli ha permesso di incrinare e ricomporre equilibri che aprono ad un universo espressivo che emoziona profondamente.

La registrazione del concerto è disponibile sul canale YouTube della Fondazione Cini.

 

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