Jesi riscopre La Rondine
Sul podio Valerio Galli
Approda a Jesi, dopo il debutto a Pisa, La Rondine di Giacomo Puccini, alla sua prima rappresentazione nel teatro marchigiano. L’opera, tra i titoli meno rappresentati del compositore lucchese, chiude il cartellone della Cinquantaseiesima Stagione Lirica di Tradizione del Teatro Pergolesi in un nuovo allestimento realizzato dalla Fondazione Pergolesi Spontini in coproduzione con Teatro Verdi di Pisa e Opéra-Théâtre de l’Eurométropole de Metz.
Delle tre versioni si è scelto di mettere in scena la prima, quella preferita da Puccini e rappresentata nel 1917 al Théâtre de l’Opéra di Montecarlo, che l’autore modificò nel 1920 per Palermo e Vienna con il cambio di tessitura per il personaggio di Prunier, da tenore a baritono, e poi ancora nel 1924, versione quest’ultima che restò con le parti nuove in versione canto-pianoforte (orchestrate trenta anni fa da Lorenzo Ferrero) e che ha un finale tutto diverso. Ad una genesi così tormentata si deve poi aggiungere che La Rondine fu inizialmente commissionata nella forma di operetta, idea presto rigettata dal compositore, e forse proprio questo retaggio di genere minore le impedì la consacrazione accanto agli altri capolavori pucciniani. La Rondine infatti soffrì, e Puccini insieme a lei, di una lunga incomprensione, oggi parzialmente superata.
Certo il clima da operetta c’è, se non altro per l’ambientazione francese fin de siècle, per i valzer e le polke di cui è intessuta la partitura e per le poche battute parlate che prevede; e questo clima è stato sottolineato dall’allestimento che abbiamo visto a Jesi, aderente ai luoghi e ai tempi del libretto, elegante sia nelle scenografie di Benito Leonori - luci di Patrick Méeüs - che nei costumi di Giovanna Fiorentini, realizzati da maestranze marchigiane nel Laboratorio Scenografico e nella Sartoria della Fondazione Pergolesi Spontini. Ma decisamente lontano dall’operetta è il terzo atto e il finale dell’opera, che non si sa se definire davvero un lieto fine. Proprio il terzo atto, che sembra fosse quello che Puccini riteneva il meglio riuscito, ne cambia totalmente il clima (e non convincono le letture che insistono sull’ opportunismo di Magda, la protagonista, stretta tra i clichés della donna di fine 800): i toni diventano improvvisamente drammatici, oltre che malinconici, e ci è sembrato, tra l’altro, che proprio qui il soprano Claudia Pavone abbia dato il meglio di sé.
La Pavone ha reso il personaggio di Magda con sicurezza e bravura, mettendo in luce una pasta vocale dal bel timbro e soprattutto di notevole volume; solo nel quartetto del secondo atto si è creato uno squilibrio, appunto di volumi, per la sua prevalenza sulle altre voci. Come si diceva, sicuramente la sua personalità si trova più a suo agio nei ruoli drammatici. Molto brava anche Maria Laura Iacobellis in Lisetta, vocalità più delicata che si è fatta apprezzare per la bella riuscita dei filati e dei pianissimi. Sul versante maschile del cast vocale bene anche il baritono Francesco Verna in Rambaldo, e i due tenori Vassily Solodkyy nel poeta Prunier e Matteo Falcier in Ruggero, quest’ultimo leggermente indisposto; Solodkyy è stato protagonista di una bella scena nel primo atto, quando si è accompagnato al pianoforte, sul palcoscenico, nella canzone “Chi il bel sogno di Doretta”.
Apprezzabili anche gli interpreti degli altri ruoli: Giorgio Marcello (Périchaud), Mentore Siesto (Gobin), Tommaso Corvaja (Crébillon), Benedetta Corti (Yvette), Sevilay Bayoz (Bianca) e Michela Mazzanti (Suzy). Ben preparato- da Marco Bargagna- il Coro Archè, che ha dato una buona prova di sé sia vocale che registica nel secondo atto.
A proposito di regia, era di Paul-Émile Fourny, che ha già collaborato con Jesi in diversi allestimenti e che ha scelto di ambientare l’opera all’interno di un teatro in rovina, i cui palchetti facevano da cornice alla scenografia, dandole anche un bel senso di profondità; tuttavia la struttura teatrale appariva un elemento giustapposto, senza una funzione precisa, se non quella di conferire al tutto un’aura di decadenza; formula del “teatro nel teatro” già sperimentata tra l’altro dallo stesso quartetto Fourny-Leonori- Fiorentini- Méeüs anche in Carmen nel 2019, sempre a Jesi.
La FORM-Fondazione Orchestra Regionale delle Marche è stata diretta da Valerio Galli, direttore che ha al suo attivo molto Puccini e che conosce profondamente la non semplice partitura e la ha già diretta nel 2017 al Maggio Musicale; la direzione è stata precisa in ogni particolare e ne ha messo in luce tutte le finezze, timbriche, armoniche e tematiche.
La recita di domenica 17 dicembre, quella a cui abbiamo assistito, è stata accessibile anche a non vedenti/ipovedenti e a non udenti/ipoudenti con un percorso inclusivo e sensoriale prima dell’opera, secondo il progetto regionale Marche for all.
Lo spettacolo ha ottenuto un buon gradimento dal pubblico sia per l’aspetto musicale che registico.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
Jonas di Carissimi e Vanitas di cinque compositori contemporanei hanno chiuso le celebrazioni per i trecentocinquanta anni dalla morte del grande maestro del Seicento
Il primo pianista francese a vincere il Čajkovskij di Mosca conquista il pubblico milanese con un interessante quanto insolito programma.