Jan Garbarek, ritorno a Roma
Affascinante ma non troppo originale il concerto del sassofonista norvegese alla Casa del Jazz
Mancava a Roma da diversi anni, il pubblico è accorso in massa ad ascoltarlo alla Casa del Jazz e lui si è presentato proponendo immediatamente le sue improvvisazioni evocative di paesaggi nordici – o, se si preferisce, di immense distese sahariane – immerso in una delicata atmosfera che ben presto è stata scandita dai variegati ritmi proposti dal pianoforte, dal basso e dalle percussioni.
Jan Garbarek e il suo gruppo sembrano perfettamente a proprio agio nella cornice di questo tramonto romano e la presenza di Trilok Gurtu, che da tempo collabora col sassofonista norvegese, di certo risulta un valore aggiunto tutt’altro che trascurabile. I suoi virtuosismi ritmici – le dita che tamburellano instancabilmente sulla tabla, per non parlare di quando addirittura si serve del suo cajòn facendolo diventare un’orchestra di percussioni – si intersecano perfettamente con le traiettorie melodiche di Garbarek e il concerto risulta appagante per gli appassionati di questa musica, che sia vero jazz o meno poco importa.
Poi però arrivano i momenti in cui il sassofonista si riposa e la serata comincia a perdere di interesse, il tastierista tedesco Rainer Brüninghaus, che pure fa parte del suo gruppo da trent’anni, propone qualche assolo ma è privo di originalità mentre il bassista brasiliano Yuri Daniel osa ancora meno. A conquistare la scena è di certo Gurtu, inarrestabile al punto tale che a un certo punto viene da domandarsi se il concerto non sia il suo, insieme al gruppo di Garbarek, piuttosto che il contrario.
Alla fine un po’ di stanchezza avvolge anche gli interventi del norvegese, ai presenti certo piace riascoltare successi come “Pan” però in fondo stiamo parlando di brani che hanno un quarto di secolo, forse il pubblico del jazz sta diventando come quello della classica? Si va volentieri a sentire Chopin e Brahms, perché si conosce esattamente quello che si ascolterà. Ma allora le nuove proposte del jazz, l’energia che arriva dall’improvvisazione e dalla ricerca, dove le mettiamo?
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