Iolanta, fiaba simbolista
Successo al Maggio Musicale Fiorentino per l'ultima opera di Cajkovskij
Recensione
classica
Dopo i festeggiamenti a Zubin Mehta per i suoi ottant'anni e il gaudioso concerto beethoveniano del 24 aprile, parte molto bene all'Opera di Firenze anche questa “Iolanta” del 79° Maggio Musicale Fiorentino, ultima e breve opera di Cajkovskij (1892), nell'allestimento coprodotto dal Metropolitan e dal Teatro Wielki di Varsavia. All'inizio, la musica e la messinscena di Marius Trelinski camminano di pari passo per esplorare con finezza le allora nuove atmosfere simboliste, con l'assottigliamento delle sonorità cajkovskijane, con la bella calibratura gestuale della regìa, con il suadente bianco-grigio-nero della scena animata dai video suggestivi di Bartek Macias evocanti le nordiche foreste di questa strana fiaba gotica tratta dal dramma del danese Henrik Hertz: la principessa Iolanta, figlia del re René, è cieca dalla nascita, ma non sa di esserlo (la vicenda è qui trasposta dal Medioevo in un qualche nordico regime in camicia nera non meglio precisato). Però poi sono altre cose a prendere il sopravvento: Cajkovskij ripiega su un melodismo spiegato e un po' roboante, c'è un lieto fine, Iolanta che scopre l'amore grazie al nobile e generoso Vaudemont e ritrova la vista grazie alle conoscenze profonde del medico saraceno Ibn-Hakia, ma la regìa non sembra crederci, e lo celebra uscendo dal registro simbolista in una chiave ironica anche troppo scoperta, con il coro degli infermieri trasformati in camerieri da operetta forse per il prossimo banchetto nuziale. Ma nel complesso l'esecuzione è buona, con Stanislav Kochanovsky che dirige validamente un'orchestra del Maggio in ottima forma, con l'intensa e commovente Iolanta di Victoria Yastrebova e con un cast complessivamente valido. Notevole successo comunque, e repliche fino al 5 maggio.
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