Il teatro musicale contemporaneo secondo Romaeuropa Festival
Roma: Curon/Graun e Le avventure di Pinocchio
Il Romaeuropa Festival 2018 si è concluso il 25 novembre al Parco della Musica, con una fitta serie di eventi – in collaborazione con la Fondazione Musica per Roma – che dalle 16 a tarda sera hanno portato oltre 5000 spettatori a contatto con generi musicali diversi, per continuare quel viaggio “Between Words” che ha segnato questa trentatreesima edizione. Spaziando dalla irriverente Brexit Big Band diretta da Matthew Herbert, per la prima volta nel nostro paese, alle ricercate sperimentazioni del giapponese Ryoji Ikeda, uno dei maggiori esponenti della computer music nonché pionieri della musica astratta.
Che i mondi musicali e artistici diversi da esplorare e proporre al pubblico romano siano prevalentemente quelli legata alla contemporaneità lo hanno ben testimoniato – in questi ultimi giorni di una programmazione iniziata oltre due mesi fa – due appuntamenti nei quali sono state coinvolte due tra le formazioni strumentali che, rispettivamente in Francia e in Italia, hanno fatto dell’attenzione alla musica del XX e XXI secolo la loro caratteristica più saliente: l’Ensemble Intercontemporain e il PMCE, Parco della Musica Contemporanea Ensemble.
Partiamo dal secondo gruppo, protagonista al Parco della Musica di una avvincente performance nella quale la musica di Arvo Pärt si è andata a intrecciare con le immagini scelte dal regista Filippo Andreatta, fondatore della compagnia OHT (Office for a Human Theatre), per raccontare la vicenda del paese altoatesino di Curon (Graun in tedesco), condannato nel 1950 a essere demolito e poi sommerso per far posto all’invaso che, unificando il Lago di Resia e quello di Mezzo, avrebbe alimentato la diga di una centrale idroelettrica. Differenti versioni di Fratres hanno creato un’effetto particolarmente suggestivo in una storia che trova il proprio simbolo nel campanile della Chiesa di Curon. Ancor’oggi, infatti lo si può vedere spuntare dalle acque del lago, emblema non solo del difficile rapporto tra uomo e natura, ma anche della ineluttabilità del destino quando si muovono potenti interessi economici e industriali totalmente indifferenti alle vite e alle storie della gente comune. Tonino Battista, alla guida del PMCE ha aperto la serata proponendo la Serenade dell’ucraino Valentin Silvestrov (in prima esecuzione nel nostro paese), brano che ha poi lasciato il posto a Fratres, le cui caratteristiche espressive si sono perfettamente compenetrate con la parte visiva dello spettacolo. Ma, proprio riguardo a quest’ultima il video realizzato nella zona della Val Venosta circostante Curon e la materializzazione conclusiva del ‘fantasma’ del campanile, non sono sembrati sempre all’altezza della carica evocativa che le note di Pärt riusciva viceversa a sprigionare, rimanendo viceversa più vicini a uno stile da servizio televisivo che a una pièce di teatro musicale.
Più articolato l’apporto che i solisti dell’Ensemble Intercontemporain – fondato nel 1972 da Pierre Boulez – ha dato a Le avventure di Pinocchio, lavoro di Lucia Ronchetti presentato per la prima volta in italiano nell’affascinante cornice della l’Aula Ottagona delle Terme di Diocleziano. A movimentare infatti questa nuova opera della Ronchetti sono stati spesso proprio i musicisti, chiamati a impersonare sulla scena i personaggi della storia di Collodi, ma estremamente attivi anche nella parte strumentale, destreggiandosi nei mille rivoli sonori in cui la compositrice ha frantumato il tessuto musicale. Con l’obiettivo di far partecipare la stessa musica alle rocambolesche vicende del burattino di legno, passando da effetti comicamente striduli a vere e proprie ondate di malinconia, e permettendo a una efficace e frizzante Juliette Allen, nei panni di Pinocchio, di catalizzare sull’intero racconto l’attenzione dei presenti, grandi e piccini. Già perché tutto lo spettacolo rivolgeva una particolare attenzione ai bambini presenti nel pubblico, che la Allen ha coinvolto con grande vitalità, passando in modo disinvolto dalla narrazione parlata alla particolare vocalità immaginata dalla Ronchetti, per esaltare l’aspetto irrequieto e dispettoso del protagonista, ma pure la sua più profonda e complessa aspirazione a trasformarsi da burattino a vero bambino.
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