Il Romaeuropa Festival rende omaggio a Louis Andriessen
Al Parco della Musica di Roma un ‘ritratto’ non perfettamente a fuoco
Se i paesaggi sonori del Romaeuropa Festival 2019 spaziano “attraverso traiettorie e sonorità composite e articolate” – per usare le efficaci parole di Fabrizio Grifasi, Direttore Artistico della omonima Fondazione – e dunque intendono offrire allo spettatore un percorso dinamico all’interno del quale esplorare la geografia artistica del mondo d’oggi, ecco che l’idea di presentare dei ‘ritratti’ sembra alludere a qualcosa di più statico, come una sosta durante il viaggio per ammirare uno dei paesaggi in particolare. Dopo quello dedicato a Ivan Fedele, il Festival ha proposto un secondo ‘ritratto’ dedicato al compositore olandese Louis Andriessen e affidato, come il primo, al PMCE Parco della Musica Contemporanea Ensemble. Non particolarmente conosciuto nel nostro paese, Andriessen – 80 anni compiuti lo scorso giugno – pur muovendosi nel solco del minimalismo americano, è una figura dotata di una propria individualità, modellata avendo ben in mente gli esempi di grandi artisti del passato più recente, come Stravinsky, o più lontano, come Bach, ma non scevra di altre influenze, come quella del jazz.
Ascoltando l’ampio programma del concerto diretto da Tonino Battista, oltre un’ora e mezza di musica, l’interrogativo sorto è stato tuttavia se questo compositore sopportasse un’intera serata a lui dedicata, se insomma reggesse la scena anche per un pubblico – non molto numeroso quello presente nel già raccolto Teatro Studio Gianni Borgna – evidentemente curioso e ben disposto nei confronti del repertorio classico contemporaneo. Interessante l’apertura con Klokken voor Haarlem, sorta di carillon dai penetranti rintocchi affidati alle percussioni e ai due pianoforti, ma i due brani successivi (Hout e soprattutto Dubbelspoor, quest’ultimo nato in verità per un balletto) non hanno mutato di molto l’immagine sonora complessiva presentata all’inizio, peraltro con un linguaggio che, stante la propensione minimalista dell’autore, giocava più sulla ripetizione che sullo sviluppo del discorso musicale. Più avvincente l’ascolto di Life, partitura del 2009 articolata in quattro quadri musicali abbinati a ad altrettanti video realizzati da Marijke van Warmerdam, formalmente autonomi tra di loro ma ricchi di reciproci riferimenti. Ecco che la combinazione di suono e immagine – una combinazione che al Romaeuropa Festival è felicemente di casa – ha dato una prospettiva diversa alla fruizione di questo lavoro, acquisendo la musica di Andriessen un più preciso ruolo nello sposarsi con la delicata poetica della van Warmerdam. Se pure Zilver non sembra aver aggiunto molto a questo ritratto, già definito dai brani precedenti, è indubbio che il conclusivo Hoketusha rappresentato il momento di maggiore effetto della serata: grazie alla puntuale esecuzione del PMCE, questo brano realizzato nel 1976 seguendo una tecnica di scrittura medievale, ha colpito per la complessità ritmica alla quale veniva sottoposto il materiale musicale pressoché identico affidato a due gruppi strumentali contrapposti.
Operazione riuscita? Forse l’idea del ritratto non è la più efficace oggi per introdurre l’ascoltatore ai nuovi linguaggi e soprattutto a quelle nuove visioni artistiche alle quali – con fare solitamente più avventuroso e dinamico – il Romaeuropa Festival attinge per preparare il proprio cartellone. Andriessen certo non rappresenta una novità, tuttavia, proprio grazie alla sua lunga attività di compositore (iniziate a metà degli anni Cinquanta), vanta un catalogo di opere particolarmente ricco, all’interno del quale si sarebbe potuta operare una scelta più eterogenea, per meglio rendere l’idea della sua multiforme creatività. Creatività che, ad esempio, ha raggiunto risultati molto interessanti nella sua produzione per voce e strumenti, del tutto assente nel programma di questo concerto.
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