Il ritorno del Barbiere
A Parma torna a un anno di distanza il titolo rossiniano con la rodata regia di Pizzi e un versante musicale rinnovato
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A Parma sembra si stia instaurando una sorta di tentazione seriale. Dopo l’annuncio del secondo Macbeth consecutivo nel cartellone delle ultime due edizioni del Festival Verdi (anche se quello dello scorso anno parlava francese e datava 1865, mentre per il 2025 viene proposta la versione del 1847), ieri sera è andata in scena nell’ambito della stagione lirica del Teatro Regio di Parma la ripresa del Barbiere di Siviglia di Rossini proposto nello stesso allestimento poco più di un anno fa.
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Lo spettacolo – con il suo impianto di regia scene e costumi di Pier Luigi Pizzi, proposto per la prima volta nel 2018 a Pesaro e ripreso dunque per la seconda volta qui a Parma – riconferma la sua impronta di elegante funzionalità, caratteristica assecondata in questa occasione anche dalle luci di Andrea Borelli. Con i ricordi vividi e presenti nella memoria rispetto a tutti i caratteri di una narrazione scenica che scorre nel complesso con efficacia – passando dall’iniziale “bagnetto mattutino” di Figaro all’acqua corrente di una fontana, ai ballettini pop-rap richiesti più o meno in differenti momenti a tutti i cantanti presenti sulla scena, fino alle caricaturali (e, confermo, francamente ridondanti) connotazioni dovute alla “erre” arrotata di Don Bartolo e alla balbuzie di Don Basilio – passiamo quindi al versante musicale, prospettiva che ha offerto in questa occasione gli elementi di maggiore novità e interesse.
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Sul palcoscenico le uniche presenze confermate rispetto al cast dello scorso anno erano la Rosina sempre coinvolgente e a tratti esuberante di Maria Kataeva e l’efficace Berta di Licia Piermatteo, mentre il versante maschile ha visto impegnati Ruzil Gatin, un Conte d’Almaviva dal timbro non proprio accattivante e dal carattere interpretativo altalenante, Carlo Lepore nei panni di un Don Bartolo decisamente trascinante – vocalmente solido e scenicamente brillante – e il ventiseienne Matteo Mancini – per la prima volta su questo palcoscenico chiamato a sostituire l’indisposto Davide Luciano – nel ruolo di un Figaro che ha saputo restituire con bell’impegno e una cifra vocale dall’efficiente personalità, facendo intuire belle prospettive di crescita anche per una presenza scenica auspicabilmente più spigliata. Adeguato infine il Don Basiglio di Grigory Shkarupa, che completava il cast assieme a Gianluca Failla (Fiorello / Un ufficiale) e ad Armando De Ceccon (Ambrogio).
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La partitura, proposta nell’edizione critica della Fondazione Rossini a cura di Alberto Zedda realizzata in collaborazione con Casa Ricordi, è stata restituita attraverso la lettura stringata e dinamica offerta dalla direzione di George Petrou, capace di guidare l’impasto timbrico asciutto ed essenziale che caratterizzava una reattiva Orchestra Senzaspine – completata dalla sempre solida presenza del Coro del Teatro Regio di Parma diretto da Martino Faggiani – con un passo brillante, nel quale si innestavano qua e là fantasiosi e gustosi arricchimenti, come certi innesti dal gusto flamenco o la presenza delle nacchere (o castañuélas, per rispettare l’ambientazione spagnola del libretto che Cesare Sterbini ha tratto dalla fonte di Beaumarchais) nel finale.
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Tanti applausi da parte di un pubblico folto e variegato – e forse non proprio abitudinario, anche grazie al fatto che le quattro date previste vengono offerte fuori abbonamento – con un bel successo personale per Carlo Lepore e un corale apprezzamento per tutti gli artisti impegnati, Pizzi compreso con la sua inossidabile presenza in proscenio per i saluti finali.
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