Il punto di fuga di Macbeth

Recensione
classica
Schwetzinger Festspiele 2002 Schwetzingen
Salvatore Sciarrino
06 Giugno 2002
A distanza di quattro anni da "Luci mie traditrici", il Festival di Schwetzingen, giunto alla sua cinquantesima edizione, ha ospitato la prima assoluta dell'ultima opera di Salvatore Sciarrino. Un Macbeth bellissimo, che pare destinato ad eguagliare, forse a superare il successo dell´opera precedente. Coprodotto con l'Opera di Francoforte e con "Musica per Roma", questo Macbeth e' stato messo in scena nella cornice del piccolo, elegante Rokokotheater, all´interno dei giardini del castello di Schwetzingen. Progetto concepito in tempi lontani, gia nel 1976, e che riprende il testo di Shakespeare, trasformandolo in una struttura in tre atti "senza nome", costruiti in base a precise simmetrie, come nuclei drammaturgici estremamente concentrati, luoghi di "azioni scellerate, assassinii di violenza tale che ne' lingua ne' cuore osano dire". La musica di questo Macbeth d'oggi sfruttava due diversi gruppi strumentali, l'uno in buca l'altro sul palcoscenico, dominati dai fiati e da un nutrito set di percussioni. Una musica come sempre trascolorante, liquescente ma mobilissima, intimamente violenta, fatta di soffi, armonici, glissati, rappresi in grandi ondate di suono, di incalzanti squarci ritmici (come gli effetti dei legni che accompagnano la scena della festa nel secondo atto), di inattese citazioni (da Mozart, da Verdi), di parti vocali disegnate come fremiti rapidissimi e agghiaccianti, forma sonora perfetta della allucinazione. Alla seduzione dello spettacolo ha contribuito in eguale misura la parte visiva ideata da Achim Freyer, che pur essendo stata annunciata come incompleta (a causa di problemi di salute del regista) è riuscita a rendere magnificamente la dimensione cupa, insieme sanguinaria e raggelata, di questo teatro, che è per Sciarrino anche una nuova idea del tragico: "Oggi il tragico, troppo spesso rimosso, è indispensabile per scuoterci dall'indifferenza. L'orrore si mescola continuamente al quotidiano e, affinché non ne restiamo introssicati, si deve risvegliare la nostra coscienza sociale". L'intera scena era concepita come una fuga prospettica (che creava l'illusione di uno spazio molto profondo su un palcoscenico in realtá piuttosto piccolo), l'abbozzo di una architettura disegnata con un gesso bianco su una lavagna nera, fatta di grandi arcate immerse nella penombra, e giocata su proiezioni, effetti di luce, dissolvenze che facevano apparire tutti i personaggi come fantasmi. Geniale anche l'uso tridimensionale di questo spazio dove si confondevano sinistra e destra, sopra e sotto, come in una prospettiva illusoria alla Esher: cosí una quinta laterale o il fondale potevano diventare improvvisamente il pavimento della stanza, il piano d'appoggio sul quale si muovevano i personaggi (che cantavano quindi spesso disposti in orizzontale), con i loro gesti stilizzati, geometrici, accentuati, dalle maschere bianche, dai guanti colorati, dai costumi imbrattati di sangue. In questa scatola nera, con centri di gravità mobili, si stagliavano gli oggetti simbolici, come la grande spada bianca di Macbeth, e si aprivano improvvise fessure, finestre dalle quali si affacciava l'ensemble vocale (sei voci). Ottima la prova del giovanissimo direttore d'orchestra Johannes Debus, alla sua prima esperienza sciarriniana. Il baritono Otto Katzameier, nei panni derl protagonista , ha dimostrato un controllo perfetto dell'emissione e una recitazione sempre espressiva, anche nel registro di falsetto. Impeccabile anche Annette Stricker, lady Macbeth (che cantava invece spesso in una tessitura grave, volutamente non timbrata), e gli altri solisti, Sonia Turchetta, Richard Zook, Thomas Mehnert.

Note: Koproduktion mit der Oper Frankfurt/Main und dem Festival Musica per Roma

Interpreti: Stricker, Turchetta, Zook, Katzameier

Regia: Achim Freyer

Scene: Achim Freyer

Costumi: Amanda Freyer

Orchestra: Radio-Sinfonieorchester Stuttgart des SWR

Direttore: Johannes Debus

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