Il Giulio Cesare di Carsen trionfa alla Scala
Il Giulio Cesare in Egitto di Händel convince grazie al cast, e a Danielle de Niese nel ruolo di Cleopatra
Il progetto dell'opera barocca del Teatro alla Scala ha fatto un salto di qualità col Giulio Cesare in Egitto di Händel. La direzione affidata a Giovanni Antonini è stata al solito una garanzia di eleganza e controllo delle sonorità, ma la differenza l'hanno fatta la regia di Robert Carsen e il cast.
Prima donna assoluta Danielle de Niese, brava, bella e spiritosa, al suo debutto alla Scala. Dotata di voce agilissima, espressiva e del volume necessario alla sala del Piermarini, non c'è una delle sue arie che non abbia meritato i lunghi applausi che l'hanno incoronata. Al suo fianco, nelle vesti di Cesare, Bejun Mehta, controtenore di lunga esperienza, già protagonista del Tamerlano della scorsa stagione, è in grado di affrontare ogni asperità con precisione assoluta, anche se talvolta l'emissione è monocorde e poco adatta all'emozione che ci si potrebbe aspettare. Come per esempio nella dolente e meditativa "Alma del gran Pompeo". L'attualizzazione operata dal regista è totale, sia Cesare sia i suoi sono in tuta mimetica o quando serve in divisa, mentre gli egiziani in tenuta da guerriglieri arabi. A dare il tocco di un Egitto immaginario i fondali con le dune del deserto e le pareti coi geroglifici dove compaiono anche carri armati e mitra imbracciati dagli dei.
Più efficace vocalmente è il Sesto interpretato da Philippe Jaroussky, che sta agevolmente alla pari con la drammatica figura di Cornelia, la straordinaria Sara Mingardo (l'unico personaggio a tutto tondo dell'opera). Prova lampante il loro duetto alla fine del secondo atto, che qui è tuttavia seguito dall'attacco del secondo, perché lo spettacolo è diviso in due parti. La prima si chiude con un fantastico coup de théâtre inventato da Carsen, con Cesare invitato ad assistere alla proiezione di un film prodotto da una ipotetica Piramide Film sulle femmes fatales del deserto, Claudette Colbert, Vivian Leigh, Liz Taylor, le grandi Cleopatre di Hollywood, e per la prima volta sullo schermo Lidia (nome di Cleopatra in incognito) vale a dire la de Niese. Quando dopo l'austera Sinfonia lei si presenta in carne e ossa e attacca sulla stessa strumentazione "V'adoro pupille", agita le cosiddette Ali di Iside, accompagnata da alcune ballerine anche loro alate in un turbinio di farfalle o di corolle animate. Una citazione della Serpentine Dance, famosa sequenza di pre-cinema che dava l'illusione del movimento. Di seguito Cesare non può che cadere in deliquio e cantare felice "Se in fiorito e ameno prato", accompagnato dal violino solo alla Vivaldi.
Il regista si è espresso in invenzioni continue, impossibili da elencare, mai però gratuite, sempre in sintonia con la situazione, dalle donne dell'harem rese mute da bavagli neri, allo scambio pacifico di doni fra la delegazione occidentale e orientale, con eleganti sacchetti di una casa di moda romana contro djellabah, che però convince poco Cesare. Di fatti canta l'aria del furbo cacciatore, accompagnata dal corno (per un attimo in défaillance), che non si fida delle apparenze.
Carsen ha scelto di dare uno stacco ai "da capo" delle arie, o cambiando la situazione scenica o facendo calare un fondale che isola il cantante in proscenio. Una soluzione efficacissima, perché impedisce la monotonia, ma soprattutto dona alla ripresa una sorta di straniamento che dà forma meditativa al canto. Dove però il regista si è permesso un elegante sberleffo che ha scatenato applausi e risate è al termine dell'aria di Cleopatra "Da tempesta il legno infranto", quando ormai tutto sta per risolversi. In scena viene portata un'elegante tinozza già colma di schiuma e Danielle de Niese, pudicamente nascosta da un lungo telo bianco, vi s'immerge gorgheggiando e agitando gioiosamente le gambe. Alla fine si lascia arrotolare nel telo dalle ancelle, ma per uscire di scena si srotola facendo immaginare che appena in quinta si ritroverà nuda. La cantante aveva dovuto affrontare un altro rotolamento all'inizio, perché in ricordo della pièce di George Bernard Shaw, il bravo Carsen la fa arrivare alla tenda di Cesare dentro un tappeto. Insomma gli ammiccamenti non sono mancati in tutto lo spettacolo.
Festosa accoglienza a tutti al termine, con lunghi e meritati applausi.
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