Il futuro del quartetto d'archi
Le giornate del Festival Pontino
Recensione
classica
Che il quartetto d’archi per un compositore rappresenti una sfida creativa quanto mai avvincente basterebbe a confermarlo tutta la produzione classica per questa formazione, ma quale è la situazione nella musica d’oggi? La riflessione su questo tema ha caratterizzato gli Incontri Internazionali di Musica Contemporanea che quest’anno sono stati inseriti non più all’inizio bensì nel cuore della programmazione del 52° Festival Pontino di Musica. Una scelta, compiuta dalla Fondazione Campus Internazionale di Musica di Latina, per affermare che la musica contemporanea non può che tornare al centro dell’attenzione, se si vuole abituare il pubblico ai nuovi linguaggi che segnano la produzione più recente. Anche perché la sorpresa, superata quella riluttanza che molti tiene lontano da programmi dove siano presenti autori del nostro tempo, è scoprire come sia meno improbabile di quel che si crede essere conquistati anche da brani scritti nell’ultimo decennio. Due giornate dunque di riflessione su “Contemporaneità e classicità: il quartetto d’archi oggi” – il 22 e 23 luglio al Castello Caetani di Sermoneta – con tavole rotonde alla quali hanno partecipato diversi compositori e musicologi, ma soprattuto con due appuntamenti musicali serali che hanno avuto un protagonista d’eccezione nel Quatuor Diotima, formazione francese che quest’anno festeggia il ventennale dalla sua fondazione.
Nella prima serata, in quell’ambiente suggestivo offerto dalle Scuderie del Castello, Yun-Peng Zhao, Constance Ronzatti, Franck Chevalier e Pierre Morlet, si sono cimentati con un repertorio per così dire europeo, lasciando alla successiva serata la più recente produzione italiana di Alessandro Solbiati e Stefano Gervasoni, sapientemente mescolata a Schönberg e all’op. 135 di Beethoven. Un programma complessivamente molto ricco, che venerdì 22 si è aperto con una pagina di forte impatto suggestivo in prima esecuzione italiana, il Quatuor à cordes n° 2 "Bitume" (del 2008) di Gérard Pesson (classe 1958), col suo flusso sonoro scandito da un sottile ritmo implacabile, brano che ha confermato la grande abilità del francese di usare tutte le possibilità degli strumenti ad arco, generando quegli effetti di sovrapposizione nel tempo che lo stesso autore ha voluto paragonare all’arte di una fotografia ottenuta con tempi di esposizione molto lunghi. Indicio (2016) di Mikel Urquiza, compositore basco del 1988 presente a questa prima assoluta del suo lavoro, ha giocato molto sul pizzicato, non senza qualche citazione dall’Harfenquartett di Beethoven e qualche ammiccamento al Quartetto di Ravel. Il programma si è concluso col breve ma intenso Distant Voices (2013) del giapponese Toshio Hosokawa (classe 1955) e con una composizione del 2012 – anche questa in prima esecuzione italiana – dello spagnolo Alberto Posadas (nato nel 1967), Elogio de la sombra, forse il momento di maggiore impegno per il pubblico presente, non folto ma sempre assai attento. Le riflessioni emerse durante le tavole rotonde potranno essere utili forse più agli addetti al mestiere che ai profani, ma quello che emerge da questo tipo di appuntamenti musicali è fondamentalmente il potenziale successo nel proporre la nuova musica al pubblico. Tra le premesse necessarie vi è sicuramente l’altissimo livello esecutivo del Quatuor Diotima, con un grado di intesa che esaltava al massimo il dialogo tra i quattro esecutori. Ma naturalmente c’è sempre più bisogno di uno smaliziato coraggio nel programmare la musica contemporanea – di questo va dato atto al Festival Pontino – e forse pure di una certa inventiva nel trovare nuove forme per attirare sempre più persone ai nuovi linguaggi del XX e XXI secolo.
Nella prima serata, in quell’ambiente suggestivo offerto dalle Scuderie del Castello, Yun-Peng Zhao, Constance Ronzatti, Franck Chevalier e Pierre Morlet, si sono cimentati con un repertorio per così dire europeo, lasciando alla successiva serata la più recente produzione italiana di Alessandro Solbiati e Stefano Gervasoni, sapientemente mescolata a Schönberg e all’op. 135 di Beethoven. Un programma complessivamente molto ricco, che venerdì 22 si è aperto con una pagina di forte impatto suggestivo in prima esecuzione italiana, il Quatuor à cordes n° 2 "Bitume" (del 2008) di Gérard Pesson (classe 1958), col suo flusso sonoro scandito da un sottile ritmo implacabile, brano che ha confermato la grande abilità del francese di usare tutte le possibilità degli strumenti ad arco, generando quegli effetti di sovrapposizione nel tempo che lo stesso autore ha voluto paragonare all’arte di una fotografia ottenuta con tempi di esposizione molto lunghi. Indicio (2016) di Mikel Urquiza, compositore basco del 1988 presente a questa prima assoluta del suo lavoro, ha giocato molto sul pizzicato, non senza qualche citazione dall’Harfenquartett di Beethoven e qualche ammiccamento al Quartetto di Ravel. Il programma si è concluso col breve ma intenso Distant Voices (2013) del giapponese Toshio Hosokawa (classe 1955) e con una composizione del 2012 – anche questa in prima esecuzione italiana – dello spagnolo Alberto Posadas (nato nel 1967), Elogio de la sombra, forse il momento di maggiore impegno per il pubblico presente, non folto ma sempre assai attento. Le riflessioni emerse durante le tavole rotonde potranno essere utili forse più agli addetti al mestiere che ai profani, ma quello che emerge da questo tipo di appuntamenti musicali è fondamentalmente il potenziale successo nel proporre la nuova musica al pubblico. Tra le premesse necessarie vi è sicuramente l’altissimo livello esecutivo del Quatuor Diotima, con un grado di intesa che esaltava al massimo il dialogo tra i quattro esecutori. Ma naturalmente c’è sempre più bisogno di uno smaliziato coraggio nel programmare la musica contemporanea – di questo va dato atto al Festival Pontino – e forse pure di una certa inventiva nel trovare nuove forme per attirare sempre più persone ai nuovi linguaggi del XX e XXI secolo.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
classica
Jonas di Carissimi e Vanitas di cinque compositori contemporanei hanno chiuso le celebrazioni per i trecentocinquanta anni dalla morte del grande maestro del Seicento
classica
Il primo pianista francese a vincere il Čajkovskij di Mosca conquista il pubblico milanese con un interessante quanto insolito programma.