Il corpo-voce di Natasha Atlas
Per i concerti "notturni" di Settembre Musica MITO, a Torino il concerto della cantante di cultura araba Natasha Atlas, con un cammeo finale di danza del ventre
Recensione
classica
Certi nomi dicono tutto di un destino: Natasha Atlas, cittadina di Bruxelles attualmente, discende da una famiglia egiziana che è migrata per alcune generazioni in Marocco e in Palestina, ed è le catene marocchine dell'Atlante, è una vita tracciata sull'atlante di mezzo Mediterraneo e mezza Europa (la giovinezza l'ha trascorsa a Northampton, UK, e si sente dal suo inglese fluente da pub). Piccolina, formosa, ha un bell'accoccolarsi su un trampolo e inchiodare il suo corpo per buona parte del concerto dietro la voce sofisticata, ma il raq sharki (la danza del ventre) che ha appreso da fanciulla e che esibiva quando cantava con i favolosi Transglobal Underground (una delle prime vere band di vera world music), le vibrava addosso lo stesso, nonostante la staticità strumentale dell'ensemble che la accompagnava, prodotto e diretto con classe cameristica da Harvey Brough (elegante e virtuosa in particolare Clara Sanabras a chitarra barocca, oud e seconda voce, e il percussionista Aly Abdel Alim, voce maschile). Così al bis Natasha, che ha cantato per il concerto con la sua virtuosa voce arrangiamenti del repertorio arabo (vintage i due omaggi novecenteschi alla diva libanese Fairuz e all'attore e cantante egiziano Abdel Halim Hafez), si appartava tra i vapori, le belle forme disciogliea un po' di più tra i veli, come una maomettana Tosca, e danzava finalmente il sublime incanto della più mistica tra le danze erotiche.
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