I Wiener al Festival di Musica Sacra di Roma
Mozart e lo Stabat Mater di Pergolesi nella basilica di San Paolo
Come ogni anno da sedici anni in qua il culmine del Festival di Musica e Arte Sacra è il concerto dei Wiener Philharmoniker, che quest'anno sono però arrivati a Roma in formato orchestra da camera, con il gruppo denominato Wiener Virtuosen, che suona senza direttore. Di per sé non sarebbe stata una grave privazione, perché i Wiener sono sempre i Wiener, che suonino Bruckner o Mozart. Il problema è che è difficile immaginare uno spazio meno adatto ad un concerto da camera dell'immensa basilica romana: ogni volta che si riferisce di questi concerti a San Paolo è inevitabile toccare questo tasto, aggiungendovi magari la supplica di trasferire il concerto dei Wiener altrove, sempre in una chiesa, dato che la fisionomia del festival lo esige, ma almeno in una chiesa con un'acustica più compatibile. Vero è che i Wiener riescono nel miracolo di domare - quasi - quest'acustica, perché il loro suono è leggero e trasparente ma timbrato e pieno, tanto da giungere a tutti gli ascoltatori, anche in fondo alla navata, sebbene affievolito. Tuttavia il Concerto per clarinetto di Mozart soffre, perché si può cogliere il dialogo delicato tra solista e orchestra soprattutto con gli occhi, dal modo con cui il clarinetto si volge verso l'orchestra, si piega verso il primo violino, invita con i cenni del capo i colleghi a seguirlo. E nei passaggi più rapidi le note sono impastate le une con le altre dal lungo riverbero sonoro. Però nell'Adagio, quando il clarinetto può distendersi in un canto intenso e sognante sul morbido sostegno degli archi, si recupera un momento d'incantata magia. Ha fatto l'impossibile il solista Daniel Ottensamer, primo clarinetto dell'orchestra, che ha dedicato il concerto al padre Ernst, recentemente scomparso, che ricopriva lo stesso ruolo nei Wiener.
L'acustica è stata più clemente con lo Stabat Mater di Pergolesi: può stupire, perché l'organico è ancor più ristretto che in Mozart, ma evidentemente questa è musica pensata per l'acustica particolarissima delle chiese. I Wiener non sono dei barocchisti, ma hanno imparato anch'essi alcuni aspetti della pratica barocca, come il fraseggio breve e scattante, il poco vibrato, i netti contrasti dinamici: ne viene fuori un Pergolesi a metà tra il barocco e Mozart, elegante e composto, ma senza che si perda nulla del suo patetismo. Merito anche delle due soliste, il soprano Romana Amerling e il contralto Bernarda Fink. La prima ha un timbro etereo, quasi da voce bianca: il suo "dum emisit spirito", rivela la solitudine e la fragilità di Maria nel momento in cui suo figlio spira. La seconda ha voce più corporea e terrena e si fa carico del dolore dell'umanità in "Fac ut portem Christi mortem".
La basilica ha accolto migliaia di persone - almeno ha questo vantaggio! - che hanno ringraziato con calore gli ospiti viennesi.
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