I surreali cacciatori di Marthaler

Basilea: Der Freischütz di Carl Maria von Weber riscritto dal regista  con l’ottima Kammerorchester di Basilea diretta da Titus Engel

Der Freischütz (Foto Ingo Höhn)
Der Freischütz (Foto Ingo Höhn)
Recensione
classica
Basel, Theater Basel
Der Freischütz
08 Settembre 2022 - 02 Dicembre 2022

Alla fine, l’ha fatto: Christoph Marthaler ha messo le mani sulla prima (storicamente) opera nazionale tedesca, Der Freischütz (Il franco cacciatore), e l’ha trasformata a modo suo. Il luogo del delitto è il Theater Basel, il teatro dove il regista svizzero si è imposto dopo gli esordi zurighesi, che l’ha programmato proprio in apertura di stagione, dopo diversi altri allestimenti soprattutto in area tedesca prodotti in occasione del secondo centenario del debutto berlinese dell’opera nel 1821.

Cosa resta ancora di valido in questa vecchia opera-manifesto del teatro romantico? In primo luogo, la musica: ovviamente! Musica, che a Basilea è servita benissimo dalla scintillante Kammerorchester di Basilea, che suona su strumenti d’epoca, ed è diretta con gusto teatralissimo da un versatile Titus Engel, che più che a un sedicente rispetto della partitura si preoccupa che lo spettacolo funzioni anche sul piano musicale. E la musica è così importante in questo spettacolo che, quando può, si prende letteralmente la scena con l’orchestra che emerge dalla fossa per conquistare il piano del palcoscenico nei momenti topici (la celebre ouverture, la grande scena “demoniaca” nella Gola del lupo del secondo atto, ma anche il surreale intermezzo con il coro dei cacciatori cantato dagli orchestrali dentro a boccali di birra), prima di sprofondare di nuovo e lasciare tutto lo spazio al teatro.

Naturalmente soprattutto nel libretto di Johann Friedrich Kind c’è molto di datato e, volendo, ridicolo, in particolare nei dialoghi parlati, non certo un capolavoro di arte poetica. Su questi, con la complicità di Malte Ubenauf e Roman Reeger, Marthaler interviene significativamente riorganizzando i tre atti originali in due parti e interpolando brani musicali (ad esempio, il canto popolare “Jägers Liedeslieb” cantato a cappella come chiusura della prima parte), testi e citazioni alieni al libretto (fra gli altri, di Ulrich Holbein e Franz Kafka) e rielaborando una drammaturgia che fa deflagrare i numerosi luoghi comuni, letti attraverso la lente dell’oggi, creando il più classico e genuinamente marthaleriano teatro dell’assurdo esistenziale realizzato con un controllo di tempi e gesti propri dei grandi maestri.

L’ambiente nel quale ci si ritrova a ouverture terminata è la sala delle feste del circolo dei cacciatori, immaginato con divertita minuziosità dalla complice di sempre Anna Viebrock: al centro un teatrino col sipario chiuso, a destra una parete apribile per far passare le prede-bersaglio di cartone, a sinistra il bagno dei signori uomini. Invece dell’esuberante festa popolare, si respira aria di depressione: i cacciatori con sguardi spenti e immobili sono seduti da soli ai diversi tavoli, ognuno con boccale di birra., nei panni del Grande Cacciatore della Foresta Nera (personaggio inventato, interpretato da un formidabile Ueli Jäggi più stralunato del solito) istruisce puntigliosamente sul calendario dei prossimi tornei di caccia e sul nuovo impianto per lepri a rotelle. È solo l’inizio di una lettura divertente e irriverente, che non trascura i dettagli della vicenda trasfigurata, tuttavia, attraverso una lucida partitura di gag, di dialoghi ripetuti e di tormentoni (il quadro dell’antenato che cade continuamente e continuamente è rimesso a posto) che supera le tre ore, con qualche momento poco riuscito, come, ad esempio, la scena nella Gola del lupo nella quale, dopo la trovata di orchestrali cantanti e coristi in scena che fingono di suonare, accade davvero pochissimo. Accade molto invece nel finale: il lieto fine conciliatorio (e parecchio posticcio) arriva fra le convulsioni spastiche dei protagonisti ma soprattutto nella cacofonia più stridente prodotta dalla sovrapposizione fra la preghiera all’Altissimo dei solisti, il canto popolare “Wir winder dir der Jungfernkranz” del coro femminile e, ancora una volta, la canzone dei cacciatori “Was gleicht wohl auf Erden dem Jägervergnügen” del coro maschile, mentre l’orchestra suona di nuovo la musica demoniaca della Gola del lupo. Un’autentica deflagrazione weberiana per guastare la festa.

Quanto agli interpreti, vince su tutti l’Agathe di Nicole Chevalier perfettamente immersa nella caustica visione del regista eppure abile nel mantenere una linea vocale di purezza lirica. Decisamente più calcato sui toni della parodia il Max di Rolf Romei maldestro e ingenuo oltre ogni limite, così come l’Ännchen di Rosemary Hardy, espressione immobile e maniacale nell’iterazione di gesti per ristabilire un ordine. Nella pattuglia di cacciatori, Jochen Schmeckenbecher ê un Kaspar più depresso che sinistro, Andrew Murphy è un Kuno di rassegnata remissività, Karl-Heinz Brandt un Ottokar fuori dal mondo, mentre Raphael Clamer trasforma Kilian in un clown dalla di lunare comicità. Infine, Jasin Rammal-Rykała mette il fisico imponente a un inquietante Samiel onnipresente che si trasforma nell’eremita del finale. Molto presente nel gioco scenico e musicale anche il quintetto di fiati in abiti da Schützen di Miha Grmek Seražin al clarinetto, Violette Goury al corno, Jonas Wilhelm alla tromba, Daniil Petrik al trombone e Juan de Dios Puerta Bernabé alla tuba. Altrettanto partecipe al gioco scenico il musicalissimo Coro del Teatro di Basilea preparato da Michael Clark.

Sala gremita, applausi calorosi.

 

 

 

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