I sessant'anni della Biennale
Salvatore Sciarrino ritira il Leone d’oro alla carriera
Recensione
classica
Lo scorso week end è stato inaugurato il Festival Internazionale di Musica Contemporanea della Biennale di Venezia, che quest’anno festeggia i 60 anni di attività, con un’intensa programmazione di concerti. Tra le numerose opere commissionate spicca tra tutte Immagina il deserto, il nuovo lavoro presentato in prima esecuzione mondiale da Salvatore Sciarrino, al concerto di premiazione che gli ha conferito il Leone d’oro alla carriera.
Ad annunciarlo ufficialmente è stato l’invito a raggiungere il palcoscenico del Teatro Alle Tese da parte del presidente Paolo Baratta che, forse per la prima volta, ha rinunciato alla rigida schematicità della motivazione scritta in vece di un più spontaneo e accorato appello. Lo ha richiesto la prorompente personalità racchiusa nei diversi capolavori che impreziosiscono il ricco catalogo del compositore, al quale si unisce ora il nuovo ciclo vocale.
Immagina il deserto nasce da un messaggio Whatsapp inviato da un amico al compositore e successivamente elaborato sotto il profilo poetico. L’immagine del deserto si apre a un invito alla solitudine, al raccoglimento come momento di riflessione, interrogazione e scoperta, per raggiungere l’affermazione vocale dell’estetica sciarriniana che riporta alla mente diversi suoi lavori, Luci mie traditrici fra tutti. Ma è nella seconda parte che la voce del mezzosoprano Anna Radziejewska si apre a un sospirato lamento utile a trascinare gradualmente l’ensemble della London Sinfonietta verso una regione più grave. Benché originale, il richiamo alla tradizione storica musicale riaccende un rapporto privilegiato nella musica di Sciarrino, capace di indagare il confine tra suono e silenzio, ripensando all’arte del recitar cantando in un contesto strumentale dall’innata verve teatrale, adatto a sollecitare e ricreare scenari altrimenti inimmaginabili.
La forza di Immagina il deserto attira attorno a sé costellazioni di diversa natura musicale, utili a ripercorrere l’estetica di Sciarrino, a partire dalla sensuale fonte materica che alimenta …da un Divertimento, brano per 10 strumenti scritto tra il 1968 e il 1970, che accende l’opera con ruvide sonorità in glissando alla scoperta di un’entità viva, derivata da un affascinante organismo musicale che respira. Il più recente Cantiere del poema, scritto nel 2011, rivela forse più di ogni altro la ricerca che avvolge il rapporto tra testo e musica nel segno dell’intelligibilità del canto, componente di fondamentale importanza nel lavoro del compositore.
Così i testi del Petrarca, Foscolo e dello stesso Sciarrino ricalcano nell’organico strumentale i Trois Poèmes de Stéphane Mallarmé di Ravel – se non fosse per l’inserimento del contrabbasso – presenti al concerto insieme alle Due poesie di Balmont e alle Tre liriche giapponesi di Stravinskji. In realtà, l’originale taglio interpretativo tracciato dal direttore Marco Angius ha acceso richiami ben più forti della sola assonanza strumentale, come ha tenuto a precisare in diretta il compositore, sottolineando quanto l’impronta radicale della sua ricerca si sia abbeverata della freschezza che il repertorio storico continua a conservare.
Inutile menzionare lo spessore interpretativo di Marco Angius e Anna Radziejewska, entrambi particolarmente ispirati, che nutrono ormai da diversi anni un rapporto molto intenso con l’opera di Salvatore Sciarrino, della quale si confermano interpreti d’elezione.
Al giapponese Ryo Murakami va invece il Leone d’Argento per le nuove realtà musicali: un riconoscimento che, come intende sottolineare il direttore artistico del festival Ivan Fedele, gratifica un percorso artistico di spessore nell’ambito drone-noise e ambient esteso a livello internazionale.
Si è svolta domenica la prima fase di Biennale College, tornata quest’anno ad indagare il teatro musicale in quattro atti unici di altrettanti giovani compositori sotto i 35 anni d’età, dopo la parentesi dello scorso anno che ha preferito lavorare alla conformazione di una nuova orchestra intitolata a Giuseppe Sinopoli, che sembra non aver avuto alcun seguito se non il ripescaggio di una manciata di giovani interpreti schierati per le due operine di Francesco Ciurlo e Alexander Chernyshkov.
Del primo è andato in scena Troposfera, “favola familiare” che sollecita il distacco della figlia dai genitori per mezzo di una lievitazione fisica suscitata da un generazionale bisogno di libertà. La freschezza dell’inchiostro sul pentagramma incrementa una scrittura stilisticamente multiforme, tutta focalizzata su martellanti sforzati che alla lunga rischiano di minare un’efficacia scenica improntata sulle vertiginose acrobazie vocali della protagonista, sottolineate da bizzarre contorsioni sceniche.
Di tutt’altra impronta, Trascrizione di un errore di Alexander Chernyshkov muove i propri passi da un chiaro riferimento all’opera di Mauricio Kagel, anche se sviluppa maggiormente l’estemporaneità dei dialoghi e sente meno il bisogno di attivare accattivanti sollecitazioni ritmiche e acustiche. A incrementare la farsa corrono in aiuto gli interpreti mascherati da pubblico che, dalla platea del Teatro Piccolo Arsenale, gradualmente si integrano a quelli sul palco. Due lavori diversissimi, cresciuti sotto il segno - o meglio l’hashtag - della Biennale College, incoraggiati da tutor d’eccezione come Salvatore Sciarrino e Luca Mosca.
Ad annunciarlo ufficialmente è stato l’invito a raggiungere il palcoscenico del Teatro Alle Tese da parte del presidente Paolo Baratta che, forse per la prima volta, ha rinunciato alla rigida schematicità della motivazione scritta in vece di un più spontaneo e accorato appello. Lo ha richiesto la prorompente personalità racchiusa nei diversi capolavori che impreziosiscono il ricco catalogo del compositore, al quale si unisce ora il nuovo ciclo vocale.
Immagina il deserto nasce da un messaggio Whatsapp inviato da un amico al compositore e successivamente elaborato sotto il profilo poetico. L’immagine del deserto si apre a un invito alla solitudine, al raccoglimento come momento di riflessione, interrogazione e scoperta, per raggiungere l’affermazione vocale dell’estetica sciarriniana che riporta alla mente diversi suoi lavori, Luci mie traditrici fra tutti. Ma è nella seconda parte che la voce del mezzosoprano Anna Radziejewska si apre a un sospirato lamento utile a trascinare gradualmente l’ensemble della London Sinfonietta verso una regione più grave. Benché originale, il richiamo alla tradizione storica musicale riaccende un rapporto privilegiato nella musica di Sciarrino, capace di indagare il confine tra suono e silenzio, ripensando all’arte del recitar cantando in un contesto strumentale dall’innata verve teatrale, adatto a sollecitare e ricreare scenari altrimenti inimmaginabili.
La forza di Immagina il deserto attira attorno a sé costellazioni di diversa natura musicale, utili a ripercorrere l’estetica di Sciarrino, a partire dalla sensuale fonte materica che alimenta …da un Divertimento, brano per 10 strumenti scritto tra il 1968 e il 1970, che accende l’opera con ruvide sonorità in glissando alla scoperta di un’entità viva, derivata da un affascinante organismo musicale che respira. Il più recente Cantiere del poema, scritto nel 2011, rivela forse più di ogni altro la ricerca che avvolge il rapporto tra testo e musica nel segno dell’intelligibilità del canto, componente di fondamentale importanza nel lavoro del compositore.
Così i testi del Petrarca, Foscolo e dello stesso Sciarrino ricalcano nell’organico strumentale i Trois Poèmes de Stéphane Mallarmé di Ravel – se non fosse per l’inserimento del contrabbasso – presenti al concerto insieme alle Due poesie di Balmont e alle Tre liriche giapponesi di Stravinskji. In realtà, l’originale taglio interpretativo tracciato dal direttore Marco Angius ha acceso richiami ben più forti della sola assonanza strumentale, come ha tenuto a precisare in diretta il compositore, sottolineando quanto l’impronta radicale della sua ricerca si sia abbeverata della freschezza che il repertorio storico continua a conservare.
Inutile menzionare lo spessore interpretativo di Marco Angius e Anna Radziejewska, entrambi particolarmente ispirati, che nutrono ormai da diversi anni un rapporto molto intenso con l’opera di Salvatore Sciarrino, della quale si confermano interpreti d’elezione.
Al giapponese Ryo Murakami va invece il Leone d’Argento per le nuove realtà musicali: un riconoscimento che, come intende sottolineare il direttore artistico del festival Ivan Fedele, gratifica un percorso artistico di spessore nell’ambito drone-noise e ambient esteso a livello internazionale.
Si è svolta domenica la prima fase di Biennale College, tornata quest’anno ad indagare il teatro musicale in quattro atti unici di altrettanti giovani compositori sotto i 35 anni d’età, dopo la parentesi dello scorso anno che ha preferito lavorare alla conformazione di una nuova orchestra intitolata a Giuseppe Sinopoli, che sembra non aver avuto alcun seguito se non il ripescaggio di una manciata di giovani interpreti schierati per le due operine di Francesco Ciurlo e Alexander Chernyshkov.
Del primo è andato in scena Troposfera, “favola familiare” che sollecita il distacco della figlia dai genitori per mezzo di una lievitazione fisica suscitata da un generazionale bisogno di libertà. La freschezza dell’inchiostro sul pentagramma incrementa una scrittura stilisticamente multiforme, tutta focalizzata su martellanti sforzati che alla lunga rischiano di minare un’efficacia scenica improntata sulle vertiginose acrobazie vocali della protagonista, sottolineate da bizzarre contorsioni sceniche.
Di tutt’altra impronta, Trascrizione di un errore di Alexander Chernyshkov muove i propri passi da un chiaro riferimento all’opera di Mauricio Kagel, anche se sviluppa maggiormente l’estemporaneità dei dialoghi e sente meno il bisogno di attivare accattivanti sollecitazioni ritmiche e acustiche. A incrementare la farsa corrono in aiuto gli interpreti mascherati da pubblico che, dalla platea del Teatro Piccolo Arsenale, gradualmente si integrano a quelli sul palco. Due lavori diversissimi, cresciuti sotto il segno - o meglio l’hashtag - della Biennale College, incoraggiati da tutor d’eccezione come Salvatore Sciarrino e Luca Mosca.
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