I linguaggi di Romaeuropa
Robert Henke e il Collettivo Ateliersi al festival romano
Attento come sempre allo sviluppo delle nuove tecnologie e alla loro interazione con le arti, il Romaeuropa Festival 2017 (dal 20 settembre fino al 2 dicembre) – ha già puntato in diverse occasioni i propri riflettori sui linguaggi della musica elettronica e sui molteplici esiti performativi che diverse personalità del mondo contemporaneo hanno saputo ideare. E questo in linea col titolo scelto per l’edizione di quest’anno, Where are we now?, una domanda che, come sottolineato dal direttore artistico Fabrizio Grifasi, riflette adeguatamente “la condizione in cui stiamo vivendo, in una quotidianità senza confini, dove possiamo dire e ascoltare tutto e il suo contrario, in una cacofonia senza distinzioni che sembra appiattire e giustificare brutto e bello, falso e vero”.
Un esempio tra tutti i possibili scenari, nella prima parte del complesso programma del Festival 2017, è stato l’appuntamento dello scorso 4 ottobre con Robert Henke, l’artista tedesco co-creatore dell’ormai onnipresente software Ableton Live, impegnato nel nuovo progetto Lumière III, tutto concentrato nel rapporto tra suoni e immagini prodotte grazie a raggi laser. Dello stesso Henke, fino al 7 gennaio del prossimo anno, sarà visibile al Palazzo delle Esposizioni una nuova istallazione denominata Phosphor e concepita utilizzando luce ultravioletta per realizzare landscapes su uno strato di polvere di fosforo posto sul pavimento del museo. Si tratta di una delle proposte di quella specifica sezione, DIgitalife, giunta all’ottava edizione, che Romaeuropa dedica proprio alle nuove tecnologie e che, sempre nel Palazzo delle Esposizioni, consentirà di accostarsi a istallazioni, opere sensoriali e quant’altro sia in grado di rappresentare il reale e le sue possibili deformazioni.
Più recente – è andata in scena al MACRO Testaccio la scorsa settimana – la nuova proposta del collettivo Ateliersi, un’opera poetica centrata su quella Strage di Ustica che nel giugno del 1980 sconvolse l’Italia. De Facto ha scavato nel passato del nostro paese contestualizzando l’intera vicenda e riportandola all’attualità grazie ai testi che Fiorenza Menni e Andrea Mochi Sismondi hanno proposto al pubblico romano, immersi in un live set di musica elettronica e apparato visuale che tuttavia ha suscitato qualche perplessità per il modo in cui suoni e immagini sono stati usati all’interno dello spettacolo. Al quale va riconosciuto il merito di aver riportato l’attenzione sulla strage non solo grazie alla memoria storica ma soprattutto grazie all’impatto emotivo che complessivamente è stato generato. Tuttavia la parte visiva – nel suo esagerato minimalismo di semplici linee che scorrevano sullo schermo – si è rivelata quasi superflua e la performance musicale che Caterina Barbieri ha prodotto col computer e altri dispositivi elettronici è risultata più ripetitiva che originale. Obiettivo dichiarato era quello di ricreare un ambiente sonoro che riportasse il pubblico nel pieno degli anni Ottanta, ma l’interazione con la recitazione, alla quale a sua volta si andava a sovrapporre la vocalità della cantante Francesca Pizzo, ha funzionato solo in alcuni momenti. Per esempio quello in cui, all’inizio, sono stati ricordati eventi che caratterizzarono quel fatidico 1980: dalle tensioni con la Libia alla scomparsa del maresciallo Tito, dall’invasione sovietica nell’Afghanistan alla dislocazione degli ‘euromissili’. Poi però, complice anche l’eccessivo volume sonoro che spesso risultava nell’insieme, l’insistenza nell’uso dello stesso tipo di suoni – ad alcuni avranno potuto ricordare vari jingle dell’epoca, ad altri le creazioni di Jean Michel Jarre – ha dato un apporto eccessivamente monolitico a uno spettacolo che, già di suo, era profondamente focalizzato sul dramma di Ustica. Così, se da un lato le conclusioni del giudice Rosario Priore (cioè che il DC9 era stato “abbattuto a seguito di un attacco nei confronti di un aereo militare nascosto nella sua scia”), riuscivano a coronare il crescendo di tensione che Ateliersi ha voluto concepire in questa sua opera poetica, il sound elettronico generato dalla Barbieri è sembrato aver qualche difficoltà – per dirla in gergo aeronautico – a mantenere la quota su cui si andava progressivamente attestando lo spettacolo.
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