I fantasmi di Flavio 

A Francoforte successo per la Rodelinda con la direzione di Andrea Marcon e la regia di Claus Guth 

Rodelinda (Foto Monika Ritterhaus)
Rodelinda (Foto Monika Ritterhaus)
Recensione
classica
Oper Frankfurt
Rodelinda
12 Maggio 2019 - 08 Giugno 2019

Non deve essere mai stata troppo facile per i figli dei regnanti, particolarmente nei turbolenti anni dell’alto Medioevo. Molto probabilmente non lo fu nemmeno quella del figlio di Pertarito e di Rodelinda. Già nonno Ariperto aveva preso il posto di Rodoaldo, assassinato per vendicare lo stupro di una donna. Il padre resse più o meno un anno sul trono prima che zio Godeperto lo costringesse a un lungo esilio di dieci anni, dopo il colpo di mano del duca di Benevento, Grimoaldo, appoggiato dal duca di Torino, Garipaldo. Se mamma Rodelinda sia stata davvero pressata da Grimoaldo nonostante l’impegno di questi a sposare la zia, secondo quanto disposto da nonno Ariperto, non è dato sapere. E ancora meno si sa dei turbamenti psichici che questi sconquassi familiari possono aver procurato ai rampolli della casata reale. Ma è proprio da lì che Claus Guth costruisce il suo racconto della Rodelindahändeliana, accolta con grande favore nel suo passaggio all’Oper Frankfurt dopo un viaggio iniziato un paio di stagioni fa al Teatro Real di Madrid e proseguito all’Opéra de Lyon e al Liceu di Barcellona solo pochi mesi fa. 

Nell’elegante spaccato di palazzetto georgiano disegnato da Christian Schmidt come residenza privata della Royal Family, una sorta di Clarence House in scala ridotta, il piccolo Flavio, figlio di Rodelinda e orfano temporaneo del padre Bertarido (secondo la vulgata händeliana), vive come un incubo infantile i ripetuti assalti di Grimoaldo e Garibaldo alla virtù materna. Seguendo un doppio binario narrativo, fra scale, corridoi e stanze di quella casa, mostrate in ogni anfratto dal palcoscenico rotante, scorrono le tormentose vicende della regina longobarda e i mostruosi fantasmi di Flavio, quelli dei suoi disegni compulsivi che sono quelli che vede aggirarsi minacciosi per la casa. A poco serve anche il ritorno del padre con la ricomposizione del quadro familiare, Eduige e Grimoaldo compresi, e la sbrigativa uccisione del perfido Garibaldo: i fantasmi degli adulti sono ancora e sempre nella casa e minacciano il piccolo Flavio più aggressivi che mai. 

Tiene bene il ritmo delle oltre tre ore di musica questa Rodelinda certamente per l’accattivante meccanismo narrativo congegnato da Claus Guth ma soprattutto grazie a una distribuzione vocale di elevata omogeneità vocale pur senza esibite punte di eccellenza. Protagonista è Lucy Crowe dalla voce agile ma di scarsa proiezione: manca forse del peso drammatico delle celebri Rodelinde del passato ma svolge l’impegnativo ruolo con onore. Andreas Scholl traduce la lunga frequentazione con il barocco in una linea di canto introspettivamente espressiva, intonata al carattere poco eroico del languoroso Bertarido, ma qualche segno di usura si percepisce soprattutto in una complessiva mancanza di vigore vocale e nelle fiacche agilità di “Vivi tiranno”. Più brillante e giustamente furioso lo spavaldo Grimoaldo di Martin Mitterrutzner, voce non prepotente ma agile e sempre di misurata eleganza. Molto promettente la prova del giovane basso Božidar Smiljanićimpegnato a restituire di Garibaldo, in palandrana nera e benda da pirata, il lato più sinistro e minaccioso. Dopo una la grande prova nel recente Rinaldo sulla scena minore del Bockenheimer Depot, sembra invece andare un po’ stretto il piccolo ruolo di Unulfo all’esuberante Jakub Józef Orliński: da compìto e ammiccante maggiordomo della real casa, si prende comunque la scena con le sue tre arie e compensa le poche acrobazie vocali del ruolo con qualche acrobatica capriola nel finale. Infine, Katharina Magiera è una Eduige vocalmente non indimenticabile ma dignitosa. Presenza muta ma cruciale nel progetto scenico di Guth è il piccolo Flavio, cui presta l’anima tormentata e il corpo infantile l’attore colombiano Fabián Augusto Gómez Bohórquez, già presenza marcante del gruppo Atra Bilis di Angélica Liddel. 

Dopo una lunga assenza dal teatro, Andrea Marcon torna a dirigere la Frankfurter Opern- und Museumsorchesterche, sotto la sua guida e grazie all’immissione di fiati e di un basso continuo filologicamente inappuntabili, trova un suono morbido e sinuoso e magistralmente equilibrato nell’accompagnamento delle voci. Pregio maggiore è il piacere del racconto in musica senza puntare all’effetto facile. 

Un piacere che il pubblico della prima ha manifestato con calorosi applausi alla fine del lungo spettacolo. 

 

 

 

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