Haydn per 107 volte
Roma: al via un progetto che prevede tutte sinfonie entro il 2032
Recensione
classica
La stagione da camera dell'Accademia di S. Cecilia si è inaugurata con quello che potrebbe sembrare semplicemente un concerto dedicato a Haydn ma è molto di più, perché segna l'avvio di un progetto grandioso, che si svolgerà in varie città europee e che prevede l'esecuzione (e l'incisione) delle 107 sinfonie di quello che è considerato il "padre" di questo forma musicale: lo si è intitolato "Haydn 2032", perché si concluderà entro l'anno del trecentesimo anniversario della nascita del compositore. Ne sono protagonisti Giovanni Antonini e la Basel Kammerorchester, che, evitando fortunatamente l'ordine cronologico, hanno scelto accostamenti che diano modo di constatare la strada che Haydn ha percorso in quasi quarant'anni, prendendo nelle sue mani la sinfonia quand'era ancora gracile e incerta - anche il numero e l'ordine dei movimenti era instabile - e portandola attraverso incessanti sperimentazioni a diventare il genere di musica strumentale per eccellenza, robusto e ben definito ma allo stesso tempo abbastanza duttile da poter accogliere le esigenze dei compositori dei due secoli successivi. Quando si definisce Haydn con la formuletta di "padre della sinfonia", non si pensa abbastanza che nessun altro nella storia della musica ha mai avuto un ruolo così gigantesco e geniale. Spesso s'immagina inoltre che le sue sinfonie si assomiglino tutte, mentre non solo tra le prime e le ultime ci sono enormi differenze di forma e di sostanza ma anche sinfonie contigue esibiscono, al di sotto di una certa somiglianza della struttura, un'inesauribile e sorprendente varietà di idee. L'ascolto ravvicinato della Sinfonia n. 19, risalente con ogni probabilità al 1759-1760, e delle n. 80 e 81 del 1784 dava modo sia di confrontare un'opera giovanile con due della maturità, sia di cogliere le differenze tra due sinfonie contigue, ognuna delle quali non solo presenta soluzioni di tipo formale diverse ma dimostra anche un proprio carattere e una propria personalità. Giovanni Antonini ha dato rilievo a tutte le mirabili nervature dell'edificio sonoro e a tutte le idee inattese che zampillano entro tali solide architetture, non disdegnando un pizzico di teatralità, ma senza protagonismo. Ci pare che in tal modo il direttore milanese abbia trovato il giusto equilibrio tra esecuzione e interpretazione: intendiamo dire che queste sinfonie non desiderano affatto un interprete nel senso romantico, che sovrapponga la sua personalità alla musica, ma d'altra parte richiedono di più di un semplice esecutore che si limiti a controllare che tutti vadano insieme. Molto apprezzabile anche il rispetto delle dimensioni originali dell'orchestra: poco più di dieci strumenti per la n. 19 e circa venticinque per le altre due, le ultime composte per gli Esterhazy. L'orchestra svizzera - quasi superfluo ribadirlo - ha dimostrato ancora una volta il suo ottimo livello. Dispiace di non potersi soffermare ora sulla Sinfonia in do minore, molto Sturm und Drang, di Joseph Martin Kraus, compositore assai interessante, che adesso comincia ad essere riscoperto.
Note: In collaborazione con la Fondazione Haydn di Basilea
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
classica
Jonas di Carissimi e Vanitas di cinque compositori contemporanei hanno chiuso le celebrazioni per i trecentocinquanta anni dalla morte del grande maestro del Seicento
classica
Il primo pianista francese a vincere il Čajkovskij di Mosca conquista il pubblico milanese con un interessante quanto insolito programma.