Haendel diventa surrealista
Partenope al Teatro Real di Madrid
L’incredibile metamorfosi di un libretto come quello di Partenope, che ai tempi di Handel un direttore teatrale definì come “il peggior testo mai letto”, nelle mani della direzione di scena di Christopher Alden si trasforma nel racconto di un’altra epopea, quella di una musa dell’ambiente intellettuale e avanguardista della Parigi anni ’20, Nancy Cunard. L’allestimento andato in scena al Teatro Real di Madrid riprende quello ormai celebre del 2008 della English National Opera. Il tutto si sviluppa con un orizzonte di riferimenti e di allusioni debitamente esplicitate nelle note del un programma di sala, firmate dal direttore artistico Joan Matabosch, che altrimenti non risulterebbero comprensibili ad una parte del pubblico.
Per nulla artificiosa, tuttavia, questa operazione delinea un arguto orizzonte di parallelismi, tra i paradossi comici della trama del libretto di Stampiglia con un approccio ad un’estetica surrealista, di cui il milieu parigino di quell’epoca era intriso. Così alcuni personaggi che frequentavano il salotto della Cunard prendono le sembianze di quelli dell’opera handeliana, come il grottesco Emilio che diventa, nientemeno, il celebre maestro della fotografia Man Ray o l’amico della regina Partenope, Oromonte, che vuole essere la parodia di un André Breton.
Immagini e proiezioni di Man Ray vengono costellando la scenografia: così la protagonista si presenta come egli fotografò la Cunard con le braccia tutte inanellate di braccialetti. Egli stesso poi si presenta, di quando in quando, con gli occhiali rotondi e il volto incorniciato da una sorta di cartolina di carta, come in una celebre foto che egli fece a Breton. Come Partenope, quindi, Nancy Cunard è una sorta di regina, principale oggetto del desiderio e fulcro del suo ambiente; un ambiente in cui, in maniera analoga a quello dell’opera barocca, si giocava volentieri con travestimenti e cambi di ruoli tra i sessi.
La cura dei dettagli, dell’azione, in ogni momento, è formidabile e progressivamente, specie dall’inizio del secondo atto, si assiste ad un’attenta caratterizzazione di ogni gesto interpretativo, spesso in forma marcatamente caricaturale; una gestione del palcoscenico che abilmente riesce a coordinare una coralità di azioni e movimenti senza che ciò disturbi o renda sovraccarica la resa musicale.
Ivor Bolton si muove con estrema disinvoltura e padronanza nel condurre una compagine orchestrale con alcune parti affidate a strumenti d’epoca, mentre egli stesso, in alcuni momenti, si siede al clavicembalo alternandosi con il titolare dell’orchestra, mettendo in evidenza un ritmo incalzante e colore orchestrale ricco di sfumature, che riescono a dare notevole impulso alle voci ed all’azione teatrale.
Nel cast vocale spicca la prestazione del controtenore Iestyn Davies, nel ruolo di Arsace, per la delicatezza del colore e la precisione nella dizione, pregevole il suo “Ch’io parta?”. Anthony Roth Costanzo ha mirabilmente preso su di sé i tic di un carattere timido e complessato di un Armindo, con una mimica ed una gestualità straordinarie, per tramutarsi infine nel personaggio estremamente estroverso che gioisce cantando, con padronanza e perfetto controllo tecnico, “Nobil core che ben ama”, anche ballando i passi di un tip tap e agitando le braccia suonando le nacchere. Convincente la Rosmira di Teresa Iervolino, nel ruolo en travesti e nel suo graduale ritorno a quello femminile; istrionico e ottimamente nel personaggio Nikolái Borchev, nei panni di Ormonte/Man Ray. Sensuale e disinvolta, Brenda Rae si esprime con voce vellutata e un delicato controllo dei ‘filati’, pur con qualche imprecisione nella dizione; estremamente incisiva sul piano attorale, per come si muove sul palcoscenico e nel mettere in luce tutte le sfaccettature e i caratteri stereotipati del personaggio Partenope/Cunard, chiude da protagonista sul proscenio, con l’aria “Sì, scherza sì”, con freschezza, leggiadria e un piglio da soubrette.
Fabio Zannoni
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