Grande successo di Minasi e Obiso con “Salut à la France”
Quattro diversi aspetti della musica francese in un imperdibile concerto a Santa Cecilia
Il concerto di questa settimana all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia era da non perdere: il pubblico l’ha intuito ed è accorso numeroso, nonostante il programma non fosse particolarmente eclatante e i due protagonisti non si fregiassero di nomi stellari. Eppure il quarantaseienne Riccardo Minasi negli ultimi anni ha intrapreso una carriera di direttore che l’ha portato a dirigere le più prestigiose orchestre europee (Berliner Philharmoniker, Concertgebouw di Amsterdam, Staatskapelle di Dresda …) e importanti teatri d’opera, però a Roma, sua città natale, era noto soltanto per alcuni concerti di vari anni fa, in cui si presentava nelle vesti di violinista e concertatore di gruppi barocchi, e per un più recente concerto mozartiano all’Accademia stessa. Il trentenne Andrea Obiso è da quattro anni il primo violino dell’orchestra di Santa Cecilia: è una ‘spalla’ eccellente (un mese fa è stato chiamato dalla principale orchestra francese, l’Orchestre de Paris, per sostenere l’impegnativo ruolo affidato Richard Strauss al primo violino in Vita d’eroe) ma non aveva avuto ancora l’occasione di presentarsi al pubblico romano come solista.
Cominciamo da lui, solista nel Concerto n. 3 per violino e orchestra di Camille Saint-Saëns, che fu scritto nel 1880 per il formidabile virtuoso Pablo de Sarasate, ma non è un pezzo virtuosistico, nel senso che cela le difficoltà più che esibirle. Per anni ebbe un posto di rilievo nel repertorio violinistico, poi ingiustamente scomparve. A Santa Cecilia non lo si ascoltava da quasi un secolo ma ora Obiso ne ha fatto riscoprire la cospicua bellezza. La sua tecnica è immacolata e il suono passa senza il minimo scompenso da un registro all’altro: piene le note basse, calde quelle centrali, luminosi gli acuti. Ed è un interprete di grande sensibilità, elegante nei vari passaggi virtuosistici, avvincente nella struggente cantabilità della parte centrale del primo movimento e nella tenera dolcezza del secondo, etereo nel meraviglioso episodio finale. Sul podio Minasi è in sintonia perfetta col suo collega violinista: già la trasparente filigrana di suoni che sostiene l’entrata del violino nelle prime battute del Concerto, fa capire che il dialogo tra il solista e l’orchestra sarà stretto, concorde, equilibrato. E tutta l’orchestra suona al suo meglio (cioè splendidamente) per l’amico e compagno di lavoro. Richiamato più e più volte sul palco da applausi fragorosi e insistenti, Obiso la sera di giovedì ha suonato come bis Obsession, primo movimento della Sonata n. 2 di Eugène Ysaÿe, un brano tanto stravagante quanto interessante.
Minasi non ha dimenticato di aver iniziato la sua carriera come barocchista (e ancora dirige alcuni importanti complessi specializzati nella musica del Sei e Settecento) ed ha aperto il concerto con tre ouvertures di Jean -Philippe Rameau: veramente magnifiche, però si poteva temere che tre di seguito potessero ingenerare una certa monotonia. Ma Minasi conosce benissimo questo repertorio e mette in rilievo tutta la ricchezza di invenzioni melodiche, armoniche e orchestrali di questo grandissimo compositore, dalla prima all’ultima battuta. Al di là di certe particolarità formali e stilistiche che si ripetono, si avverte come Rameau le differenzi sottilmente l’una dall’altra. L’ouverture di Zaïs, opera dal soggetto fiabesco, ha un colore favoloso (grazie anche al rilievo dato ai due ottavini e agli oboi) e sfuggente; quella delle Fêtes de Polymnie, scritta per celebrare una vittorio francese, inizia in tono grave e grandioso e prosegue con una militaresca fanfara di trombe e timpani; anche Naïs, di argomento mitologico, non lesina trombe e timpani ma li usa per una descrizione più agitata e realistica (relativamente) del formidabile scontro tra Giove e i Titani. Grazie a Minasi questa musica di un genere così lontano del gusto Italiano ha avuto unl successo che sembrava impensabile.
Si può essere meno d’accordo sulla sua interpretazione del Tombeau de Couperin di Ravel. Minasi ha voluto trasportare Ravel verso il Settecento di Couperin, con un fraseggio corto, capriccioso, insomma barocco, che inizialmente è interessante ma alla lunga rende un po’ secca questa musica, che non è un’imitazione del clavicembalo ma un omaggio che Ravel - il quale naturalmente non sapeva nulla dell’attuale interpretazione storicamente informata della musica barocca - fa col suo linguaggio e il suo stile a un grande compositore del passato.
Il gran finale di questa serata interamente dedicata alla musica francese era la Carmen di Georges Bizet: ovviamente non l’opera intera ma una scelta dalle due suites che ne trasse Ernest Guiraud. Ridotta così a pezzi l’opera perde ogni drammaticità, ma Guiraud ha aggirato astutamente l’ostacolo, scegliendo le pagine più colorate, vivaci e trascinanti. Presto si dimentica ogni scrupolo filologico e ci si abbandona all’ascolto di questa musica irresistibile, diretta da Minasi con ritmi travolgenti e colori sgargianti. L’orchestra stessa si entusiasma e all’entusiasmo unisce la perfezione, guidata dal gesto molto personale ma energico ed evidentemente efficace di Riccardo Minasi. Successo strepitoso.
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