All'inizio un siparietto a forma di grande lavagna annuncia il titolo dell'opera: "Così fan tutte", completo di sottotitolo "La scuola degli amanti". Questo dà il destro a Graham Vick di catapultarci in una scuola dei nostri giorni, dove il professor Don Alfonso tiene una lezione sull'incostanza delle donne agli studenti Ferrando e Guglielmo, due adolescenti vestiti più o meno come se stessero andando alla spiaggia, che si comportano da teppistelli, scrivendo sui muri e lanciando palle di carta contro il professore, però parlano in un forbito italiano settecentesco ed esibiscono una concezione idealizzata dell'amore come sentimento purissimo ed eterno. Mah! Questa è una nota stonata, l'unica di uno spettacolo che poi funziona come una macchina perfetta. Messi da parte i banchi e la lavagna, siamo trasportati in uno spazio astratto (una grande stanza completamente bianca con alcune sedie di plastica vivacemente colorate come unico arredo), com'è giusto, perché il teorema della dimostrazione della mutabilità dei sentimenti umani vale in ogni luogo e in ogni tempo. Certamente la modernizzazione operata da Vick e dallo scenografo e costumista Samal Blak è radicale: non si tratta infatti di un generico Novecento, come siamo ormai abituati a vedere, ma proprio di oggi, del 2017, e questo - inutile negarlo - ancora ci spiazza un po'. Per il resto la regia è relativamente tradizionale: un ritmo teatrale che non rallenta mai, una serie di idee che illuminano alcuni aspetti generalmente lasciati in ombra, una recitazione studiatissima in ogni gesto che appare però molto libera, vivace e divertente, quasi una versione contemporanea della commedia dell'arte. Le due coppie di amanti sono giovanissime, molto scafate all'apparenza, ma anche molto goffe (a cominciare dagli orribili vestiti che li fanno sentire "fichi" ma che sono inguardabili per noi persone di una certa età e di "buon gusto") e ingenue. Alfonso è un uomo con i primi capelli grigi, che l'ingenuità e le illusioni le ha perse da tempo, esattamente come l'hanno pensato Da Ponte e Mozart. Despina non è una civettuola servetta settecentesca ma una non più giovane donna delle pulizie ingoffita da uno squallido grembiule, che deve aver avuto tempi migliori, in cui ha sicuramente fatto molte esperienze in fatto di uomini, che le hanno lasciato una scia di cinismo e anche di scontentezza e aggressività. Passato lo choc iniziale, ci si accorge che non c'è nulla di arbitrario e che tutto - o quasi tutto - è assolutamente in linea con la musica. E ancor più con le parole: infatti il vero punto di forza di quest'edizione dell'opera sono i recitativi, alla cui riuscita hanno concorso in parti uguali il regista, che li ha pensati proprio come una recitazione intonata, la direttrice Speranza Scappucci, che li ha accompagnati personalmente al fortepiano, e naturalmente i cantanti, tra cui spiccava la sovrana naturalezza dei più esperti Monica Bacelli (Despina) e Pietro Spagnoli (Don Alfonso). Ma tutti li hanno eseguiti con spontaneità e con gli accenti giusti, grazie al fatto che erano tutti italiani, tranne il tenore. I vari numeri musicali si collegavano senza brusche cesure ai recitativi e sono stati eseguiti in modo corretto, ma non superlativo. I momenti migliori sono stati sicuramente i duetti, terzetti e gli altri pezzi d'insieme. Quanto alle arie, Francesca Dotto ha cantato molto bene la terribile "Come scoglio", evitando di farne un pezzo di bravura, di accentuare le puntate all'acuto e al grave e di trasformare così Fiordiligi nella sorella (buona) della Regina delle Notte; ma in "Per pietà, ben mio" il registro medio grave era piuttosto sordo, quasi inudibile. Anche Chiara Amarù è piaciuta, pur con qualche ombra, nelle due arie di Dorabella. La Bacelli ha completato nelle arie l'acidulo ma divertente e irresistibile ritratto di Despina da lei disegnato nei recitativi. Juan Francisco Gatell (Ferrando) e Vito Priante (Guglielmo) hanno perfettamente corrisposto alle richieste mozartiane. Inappuntabile Spagnoli nella sua breve aria. La direzione della Scappucci era spesso lenta, talvolta pesante: se non ha non ha reso piena giustizia alla trasparenza e alla brillantezza impareggiabile dell'orchestra mozartiana nei pezzi più vivaci, ha però valorizzato perfettamente le numerose parentesi di magica e stupefatta sospensione disseminate da Mozart nell'opera, a partire da "Soave sia il vento". Applausi cortesi ma non travolgenti, con pochi e isolati fischi per Vick.
Note: Nuovo allestimento
Interpreti: Francesca Dotto/Federica Lombardi (Fiordiligi); Chiara Amaù/Paola Gardina (Dorabella); Vito Priante/Mattia Olivieri (Guglielmo); Juan Francisco Gatell/Antonio Poli (Ferrando); Monica Bacelli/Daniela Pini (Despina): Pietro Spagnoli/Paolo Bordogna (Don Alfonso)
Regia: Graham Vick
Scene: Samal Blak
Costumi: Samal Blak
Orchestra: Orchestra del Teatro dell'Opera di Roma
Direttore: Speranza Scappucci
Coro: Coro del Teatro dell'Opera di Roma
Maestro Coro: Roberto Gabbiani
Luci: Giuseppe Di Iorio